Sistemi digitali di supporto alle attività cliniche in corsia. È il momento

Il momento è giusto. C’è la forza propulsiva imposta dalla pandemia, dalla crisi economica e sociale. Ci sono i soldi del Pnrr. Ci sono i professionisti della sanità stanchi, dopo due anni di pandemia, ma pronti a raccogliere la nuova sfida dell’innovazione, consapevoli che si può solo guardare verso un futuro completamente nuovo se si vuole uscire dalle profondità in cui siamo precipitati negli ultimi due anni, dopo decenni passati a restare semplicemente a galla. Ci sono le imprese, la cui capacità di ideare e creare appare oggi più viva che mai. È quindi il momento di un grande salto in avanti sul fronte delle tecnologie e della digitalizzazione.

Tra le innovazioni da introdurre ci sono sicuramente quei software pensati per mappare i casi clinici e incrociare i dati e le informazioni provenienti da  molteplici fonti allo scopo di suggerire ai medici tutte le possibili risposte adattabili a ogni specifico paziente che abbiano in cura. Sono sistemi sofisticati, ma di semplice uso, che non sostituiscono il medico, ma mettono a sua disposizione un intero mondo di conoscenze.

Il tema è stato al centro dell’ultimo National Summit di Sics – Quotidiano Sanità, in collaborazione con Dedalus Group, che ha chiuso un’intera giornata dedicata al confronto di oltre 40 società scientifiche sul tema dei sistemi di supporto digitali alle decisioni cliniche. Condotto da Corrado de Rossi Re, al National Summit sono intervenuti Pierpaolo Sileri, sottosegretario alla Salute; Francesco Gabbrielli, direttore del Centro di Telemedicina dell’Istituto Superiore di Sanità; Roberto Monaco, segretario nazionale Fnomceo; Claudio Cricelli, presidente Simg; Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi; Giorgio Moretti, presidente Dedalus Group; Guido Rasi, professore, già Direttore Esecutivo dell’EMA, Francesco Saverio Mennini, presidente della Società Italiana di Health Technology Assessment (Sihta); Franco Vimercati, presidente Fism; Lorenzo Leogrande, past president dell’Associazione italiana ingegneri clinici (AIIC). Quanto discusso nel corso dell’incontro e le posizioni delle singole società scientifiche partecipanti saranno oggetto di una prossima pubblicazione dei Quaderni di Quotidiano Sanità.

Ad aprire il dibattito, la presentazione dei risultati di una survey condotta da Quotidiano Sanità (a cui il prossimo Quaderno dedicherà ampio spazio) da cui è emerso che l’informatizzazione della sanità è priorità organizzativa per il 60% dei professionisti sanitari intervistati e clinica per il per 40%. Dal sondaggio è tuttavia emerso come, secondo i professionisti della sanità, esista in questo ambito un  gap formativo che per il 50% degli intervistati è difficilmente colmabile nel breve periodo. Per il 57% i sistemi di supporto alle attività cliniche in corsia sono utili solo se però sono di facile accesso. Per l’84% degli intervistati, nella pratica clinica quotidiana, avere software di gestione clinica dei pazienti sarebbe “molto” di supporto per migliorare e semplificare le performance.

Si tratta, dunque, di una esigenza indubbiamente sentita. Tuttavia, per tradurla in realtà occorre una infrastruttura, che è attualmente assente. “In Italia – ha detto Giorgio Moretti – abbiamo un problema di convergenza tra informatizzazione, clinica e sistema sanitario. Questo anzitutto a causa di una carenza strutturale, che riguarda l’Italia ma anche il resto del mondo. Questa carenza non consente la condivisione di dati comprensibili e utilizzabili da tutti perché i dati inseriti non sono codificabili e i sistemi, in ogni caso, non sono usano lo stesso linguaggio informatico. Ciò fa sì che un dato inserito in un sistema oggi resti confinato in quel sistema. Non può essere messo  a disposizione degli altri medici e neanche utilizzato a scopi epidemiologi e di ricerca clinica”. La prima “rivoluzione” da compiere, per il presidente di Dedalus, è dunque “mettere in condizione tutti i soggetti di poter condividere dati comprensibili e comparabili”.

Un importante passo avanti è arrivato intanto, secondo Moretti, dalla normativa CEE/MDR-VDR, “che dal 26 maggio trasforma i software clinici in medical device, con tutta la complessità che questo comporta. Una complessità che tuttavia porta con sé anche vantaggi in termini di sicurezza e fruibilità”.

Il punto, per il presidente di Dedalus, è “introdurre un paradigma scientifico in tutto il disegno di innovazione del Ssn. Se lo faremo, avremo una clinica migliore, una migliore qualità in tutte le sue declinazioni e un’ottimizzazione degli outcome clinici anche in termini di gestione delle risorse”.

Posizione condivisa da Pierpaolo Sileri, che ha garantito l’impegno del ministero della Salute per realizzare questa rivoluzione. Tuttavia per il sottosegretario, è importante tenere conto di quanto emerso dalla survey di Quotidiano Sanità: “Se il 60% degli intervistati vede la digitalizzazione e l’innovazione come una priorità, significa che c’è un buon 40% che non la pensa così. Questo, forse, perché l’innovazione viene un po’ temuta. Un timore che, credo, è legato alla sensazione di non avere la capacità di potersi adattare a questa innovazione, sia per le carenze strutturali del posto in cui si lavora, sia per la mancanza di competenze personali. Questo è un gap da colmare, presto, perché è evidente che l’innovazione e la digitalizzazione vanno introdotte quanto prima”.

Formazione, dunque, affinché “questo sistema diventi qualcosa di continuo e proattivo, e non venga interpretato come l’ennesimo peso burocratico”.

Per Sileri “il dato è qualcosa a cui bisogna potere accedere in modo semplice e con un’ampia condivisione”. Questo vuole dire “omogeneità dei dati”. Su questo aspetto, ha spiegato il sottosegretario, “al ministero della Salute stiamo cercando di recuperare il tempo perduto. L’importanza strategica del ministero della Salute è proprio questa: essere la forza che guida e permette la realizzazione dei processi che portano al cambiamento, in questo caso alla raccolta dei dati e alle relative infrastrutture, e il successivo monitoraggio degli outcome ottenuti grazie a quei dati come base per lo sviluppo di modelli di programmazione e governo del sistema”.

“Registrare, monitorare e misurare tutte le attività che compongono l’assistenza sanitaria, ma anche quella sociale, è un obbligo morale dei sistemi sanitari solidaristici avanzati”, per Francesco Saverio Mennini. Questo in quanto, come già spiegato da Sileri, rappresentano base di ragionamento per la definizione dei modelli e la programmazione dei servizi”. “È dunque mandatario – ha detto il presidente della Sitha – realizzare dei sistemi in cui tutti gli interlocutori siano in grado di interagire e da cui tutti siano in grado di attingere, secondo un modello multidisciplinare. Tutto questo si confà pienamente con gli obiettivi del Technology Assessment. Il presupposto è tuttavia l’accesso a quelle informazioni e a quei dati che oggi si fatica terribilmente ad ottenere”.

Per Mennini sarà necessario, nel corso di questo processo, intervenire anche sulla normativa sulla privacy, “che sta creando enormi problemi che rischiano di amplificarsi ulteriormente, se si continua ad interpretare la privacy in maniera così stringente”.

Claudio Cricelli ha quindi rivendicato l’intuizione della Simg, Società italiana di Medicina Generale, “che già 40 anni fa, alla sua nascita, ha avuto tra i suoi elementi di origine la razionalizzazione del pensiero clinico che fosse basata sull’organizzazione dei dati, dunque sulla loro codifica e classificazione. Però era chiaro sin da allora che questo percorso doveva essere sostanziato da un metodo e una cultura di base che a quei tempi erano totalmente assenti”.

Per Cricelli c’è però un problema di fondo, la cui soluzione è prioritaria anche rispetto a quanto già detto, ed è la carenza di personale: “Se manca il capitale umano, che sia in numero o in competenze all’altezza della presa in carico del paziente, qualsiasi strumento sarà inutile o, peggio ancora, sprecato. C’è una sequenza di priorità che non può essere ignorata, disattesa e invertita: cominciamo dal personale, dagli organici, dalla formazione. Solo allora potremo andare guarda oltre”.

Secondo Roberto Monaco l’incontro il digitale “può essere o un colpo di fulmine o un fulmine che fa colpo. Occorre quindi guidare con attenzione il cambiamento, affinché non ci arrivi addosso come un fulmine”. Certo è che, anche per il segretario nazionale Fnomceo, che il salto va fatto, perché “dell’importanza della portabilità del dato clinico sanitario ci siamo bene accorti durante il Covid, quando abbiamo monitorato, come mai fatto prima, i parametri vitali dei pazienti a casa”. Per Monaco l’obiettivo è comunque raggiungibile. In qualche modo l’ha dimostrato anche la ricetta dematerializzata, “ci cui si parlava dal 20 anni e che in 5 minuti è diventata cosa concreta”.

Per Monaco il Covid, in queste esperienze, “è stata la spinta. Oggi la spinta è il Pnrr”. Avanti, dunque, “e forse ci accorgeremo che questi nuovi strumenti non saranno solo in grado di migliorare l’outcome, ma anche di eliminare un po’ delle diseguaglianze che oggi ci fanno parlare di pazienti di serie A e pazienti di serie B, nonché aumentare l’appropriatezza a tutto vantaggio anche della sostenibilità del sistema”.

Per Barbara Mangiacavalli, il tema al centro del National Summit è “strategico in questo momento, tant’è che il Pnrr dedica una intera missione intera dedicata alla digitalizzazione”. Tuttavia, ha evidenziato la presidente della Fnopi, “la missione per la digitalizzazione non deve essere disgiunta dalle altre missioni, impresa quella sanitaria e socio sanitaria. I tasselli vanno ricomposti in un quadro unico che si traduca in un paradigma nuovo”.

Questo però, per Mangiacalli, “è un ambito su cui non bisogna fare una formazione settoriale, ma a livello di équipe. Équipe ospedaliere, territoriali, domiciliari. Perché ormai nessun professionista lavora più da solo e quindi trovare una piattaforma digitale che interconnette le diverse documentazioni cliniche e che interconnette i professionisti e i loro contributi è quanto mai importante e opportuno”.

Al National Summit ha portato il suo contributo, in collegamento da remoto, anche Francesco Gabbrielli, direttore del Centro di Telemedicina dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), secondo il quale “siamo in un momento di transizione che porta con sé molti dubbi, molti pericoli e molte opportunità”. Per Gabbrielli le tecnologie digitali possono rappresentare un prezioso aiuto, anche per migliorare l’accesso e la continuità delle cure in ogni area del Paese, ma “noi Italiani abbiamo la tendenza ad affrontare le problematiche solo in un senso di urgenza piuttosto che prepararci per quello che verrà. Cosi’ come abbiamo la tendenza a non collaborare. È stata anche questa gara a chi faceva meglio, a dare vita a sistemi che non prevedono la possibilità di interazione”. Il processo, quindi, va governato, anzitutto avendo bene in chiaro quale è l’obiettivo.

“La telemedicina – ha detto il direttore del Centro di Telemedicina dell’Iss -non è la videochiamata tra il medico e paziente. Il punto fondamentale della telemedicina è costruire dei sistemi in grado di utilizzare i dati del paziente. Dal punto di vista tecnologico non è qualcosa di così straordinario. La differenza sta nell’organizzazione, nella sicurezza clinica, nella cybersecurity. Non sono insormontabili ma bisogna affrontarle in maniera coerente su tutto il territorio nazionale”.

“È un salto importante”, è convinto Lorenzo Leogrande, che ha evidenziato come “quando un software diventa dispositivo medico e come tale deve essere trattato, anche sotto il profilo gestionale ci sono cambiamenti sostanziali. Un’ottica di Health Technology anche all’interno degli stessi processi gestionali”. Il past president dell’Associazione italiana ingegneri clinici ha poi concordato che l’integrazione dei software deve avvenire “all’interno di un sistema complesso che però va visto come un vero e proprio ecosistema”. Quanto siamo realmente pronti per questo salto di qualità? Per Leogrande “molto poco. Ci aspetta grande lavoro di squadra, che sicuramente trova un punto a favore nella bella spinta che arriva dal Pnrr”.

Un invito a cogliere questa “grande opportunità” è arrivata quindi da Guido Rasi, che ha voluto sottolineare il contributo che queste nuovi soluzioni possono dare “alla riduzione degli errori”. “Ci sono flussi di dati fondamentali – ha detto Rasi – flussi di dati che generano conoscenza per aiutare a capire quale è il miglior intervento per quel paziente, che deve integrarsi con il flusso di dati specifici di quel paziente. Alcuni di questi dati possono essere inseriti dal paziente stesso tramite device. Per questo il processo di regolamentazione e di validazione dei device è di assoluta importanza e va demandato ad una autorità centrale. Per questo la validazione dei dati è altrettanto importanza ed è in prima analisi competenza delle società scientifiche, che si trovano di fronte a una grande sfida, ma anche l’Aifa dovrà aggiornarsi per stare al passo con i tempi e con i grandi obiettivi della salute che le nuove tecnologie e la ricerca permettono di perseguire”.

Ovviamente le agenzie regolatorie, per Rasi, dovranno essere messe nelle condizioni di assolvere il loro compito e quindi dotate di strumenti e personale utile a questo scopo.

A tirare le somme della lunga giornata di lavoro è stato Franco Vimercati, che sulla scia di quanto poco prima detto da Rasi, ha sottolineato come “le società scientifiche rappresentino davvero un valore se tutti lavorano all’unisono, se nasce un sistema unico dove, ognuno per le proprie competenze, si contribuisca a creare uno sguardo di insieme, necessario per trattare le questioni di salute, perché ogni paziente è un insieme complesso di fattori che intervengono e interagiscono”. “Se ognuno va per conto proprio – secondo il presidente della Federazione delle Società medico-scientifiche italiane – non assisteremo ad alcun aumento di qualità della prestazione o della gestione della salute pubblica, avremo semplicemente punti di vista settoriali, anche in contrasto tra loro, che provocheranno caos e sfiducia. La cosa che le Società scientifiche devono fare, quindi, è sedersi intorno a un unico tavolo”.

Anche Vimercati si è detto ottimista. “Non perché la sfida sia semplice, ma perché quando le cose risultano essere utili a tutti, si trova il modo di realizzarle”.

di Lucia Conti

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One Thought to “Sistemi digitali di supporto alle attività cliniche in corsia. È il momento”

  1. Giovanni Colonna

    La soluzione deve essere nazionale e nell’ambito del SSN. Si chiama FSE, Fascicolo Sanitario Elettronico. Con il FSE si coprono tutte le necessità mediche.
    Il motivo principale per cui si fa grancassa ovunque, non è quello di avere un fascicolo sanitario elettronico (FSE) omogeneo in tutta Italia e capace di garantire un accesso efficace ai dati sanitari di ogni cittadino, se non si spiega cosa si vuol dire.
    Certamente che ogni cittadino abbia accesso ai suoi dati è importante ma il motivo fondamentale è un altro.
    Il motivo fondamentale è avere un archivio nazionale unico che contenga tutti i dati biomedici fenotipici che caratterizzano la comunità italiana. Con l’analisi di questi dati è possibile, per esempio, fare una efficace medicina preventiva, o fare fronte a improvvise emergenze sanitarie, e tante altre cose utili che oggi non possiamo fare e non abbiamo.
    Il punto cruciale è uno solo, e se non verrà adeguatamente e pedissequamente attuato il sistema non funzionerà e sarà inutile.
    Dire che dopo l’adozione delle linee guida per l’attuazione del FSE si dovrà puntare a realizzare un’adeguata omogeneità tra i sistemi informativi regionali e caricare i dati è fuorviante perché questo risultato lo si può ottenere con svariati e diversi approcci tecnologici (cosa che le aziende informatiche sanno bene) ma l’archivio nazionale unico lo si ottiene in un solo unico modo, caricandolo con documenti che, quale che sia la loro natura o significato, devono sottostare ad una unica, rigida architettura. Tutti i documenti archiviati devono essere documenti digitalizzati, strutturati secondo precise norme tecniche e codificati secondo specifici codici. L’archiviazione deve prevedere l’uso di ontologie e semantica, con sistemi a grafi.
    Se tutti non fanno tutto allo stesso modo, non funzionerà nulla e sarà una importante occasione persa per la nostra comunità.
    C’è un test molto semplice per accertare se le procedure attuate in giro per l’Italia siano quelle corrette. Aprite il FSE individuale, se vi trovate file tipo pdf potete essere sicuri che qualcuno vi sta prendendo per i fondelli, eludendo le leggi, perché i file pdf sono invisibili e inutilizzabili dal sistema nazionale di analisi. In più vi fa un danno diretto, perché in caso di urgenza il medico non ha tempo per leggere per intero i vostri file pdf, mentre voi state male, mentre il sistema è in grado di fare un riassunto in automatico con i file strutturati a norma.

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