Perché è difficile sviluppare un vaccino contro l’HIV? Intervista a Scarlatti

Negli ultimi mesi, l’annuncio dell’avvio di trial clinici per testare nuovi vaccini a mRNA contro HIV ha riportato l’attenzione su una sfida che da decenni impegna i ricercatori. Sulla scia del successo dei vaccini per Covid-19, le nuove sperimentazioni sono state accolte con entusiasmo, ma quanto siamo realmente vicini a raggiungere il traguardo? In prossimità della Giornata Mondiale di Sensibilizzazione per la vaccinazione contro HIV (18 maggio), riflettiamo sugli ostacoli che rendono così difficile la sviluppo di un vaccino efficace con Gabriella Scarlatti, ricercatrice a capo dell’Unità di Evoluzione e Trasmissione Virale dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.

Un virus complesso

Per contrastare la pandemia da Covid-19 i ricercatori di tutto il mondo hanno fatto ricorso a tecnologie, strutture e competenze messe a punto nel corso dei decenni per altri patogeni. Sia i vaccini a vettore virale che a Rna si sono rivelati efficaci contro Sars-CoV-2. Entrambe queste piattaforme, come ricorda Scarlatti, sono state testate in fase preclinica contro l’HIV, purtroppo senza un risultato altrettanto eclatante.

Oltre naturalmente ad uno sforzo inedito, in termini di risorse economiche e laboratori che si sono dedicati allo sviluppo di un vaccino contro Sars-CoV-2, la differenza nel successo dell’impresa sta nella complessità dei virus stessi. HIV muta molto più velocemente sia di Sars-CoV-2 che, per esempio, dei virus responsabili dell’influenza stagionale. “La variabilità che abbiamo osservato in questi due anni nel nuovo coronavirus a livello mondiale si osserva nel corso della vita in un solo paziente affetto da HIV”, precisa l’esperta. Ogni anno i vaccini contro l’influenza devono essere “aggiornati” e ultimamente si discute di un adattamento dei vaccini contro il Covid-19 perché questi diventino più efficaci contro le varianti emergenti. Come comportarsi con un virus che cambia ancora più rapidamente, di cui esistono numerosi sottotipi e forme ricombinanti?

Scarlatti sottolinea poi che un vaccino contro l’HIV, per essere efficace, dovrebbe essere in grado di generare una risposta immunitaria non solo molto rapida ma anche molto forte. Questo in virtù delle caratteristiche di replicazione del virus e della sua modalità di trasmissione. Parliamo di un retrovirus: una volta entrato nelle cellule ospiti, HIV penetra nel nucleo e inserisce il proprio genoma nel DNA umano. Quando il virus è integrato il danno è fatto: può replicare quando vuole. La rapidità è dunque necessaria perché il sistema immunitario riesca a prevenire l’entrata del virus nella cellula.

“Inoltre, il virus si trasmette prevalentemente a livello delle mucose, quindi per contrastarlo occorre che gli anticorpi siano immediatamente presenti ad elevate concentrazioni a livello delle mucose genitali ed intestinali, prodotti in loco oppure trasferiti dal circolo sanguineo. La persistenza della memoria immunologica è particolarmente rilevante”. L’esperienza con Sars-CoV-2 ha mostrato chiaramente quanto sia difficile mantenere una risposta anticorpale elevata nel tempo: quella contro il Covid-19 diminuisce notevolmente nell’arco di alcuni mesi.

Ma le difficoltà non sono finite. HIV è particolarmente subdolo, il suo bersaglio sono le cellule del sistema immunitario che esprimono sulla loro superficie il recettore CD4, quindi i linfociti T CD4+, i macrofagi e le cellule dendritiche. Le difese che dovrebbero combattere l’azione del patogeno vengono quindi contrastate dal virus stesso, che provoca un indebolimento del sistema immunitario, evidente già nelle primissime fasi dopo l’infezione.

Esistono poi degli ostacoli più tecnici, che riguardano la struttura stessa delle proteine presenti nel virus. Per poter funzionare il vaccino deve contenere delle proteine, dei frammenti del virus (o le informazioni che permettano la produzione di quelle proteine, come per esempio nel caso dei vaccini a mRna) che siano riconosciute dalle cellule del sistema immunitario in modo tale che queste possano sviluppare una risposta specifica in caso di infezione.

La componente del virus preferita dai ricercatori per produrre il vaccino contro HIV è la glicoproteina dell‘involucro, presente sulla superficie di HIV nella sua forma trimerica. “Ci sono voluti molti anni per mettere a punto delle proteine trimeriche simili nella loro conformazione a quelli presenti sulla superficie della particella virale”, nota Scarlatti. “Negli ultimi 10 anni sono stati fatti grossi progressi per sviluppare particelle che esprimano l’involucro in modo simile a quella naturale, anche dal consorzio europeo EAVI2020 di cui faccio parte, e adesso sono in fase di sperimentazione preclinica e clinica”.
Perché il vaccino funzioni deve mostrare alle cellule immunitarie degli epitopi (la regione del patogeno che viene riconosciuta dagli anticorpi) “utili” per la futura risposta immunitaria. “Nel tentativo di sviluppare un vaccino spesso i ricercatori sono riusciti a indurre una risposta anticorpale specifica per determinati epitopi, che però non era efficace contro le varianti del virus con un involucro leggermente diverso”.

A che punto siamo

Esistono dunque molte ragioni che spiegano perché non disponiamo ancora di un vaccino efficace contro un virus che infetta oggi oltre 37 milioni di persone nel mondo.

“Nel corso degli ultimi 40 anni sono stati pochi i vaccini di cui è stata testata l’efficacia contro l’HIV in trial clinici sull’uomo, e solo uno ad oggi ha mostrato un’efficacia del 30% circa”. Attualmente è in corso un solo studio di fase 3, che si chiama MOSAICO, della Janssen Vaccines & Prevention, per valutare l’efficacia di un costrutto vaccinale sperimentale a vettore virale in persone cisgender e persone transgender che hanno rapporti sessuali con uomini cisgender e/o persone transgender in Nord America, America Latina ed Europa.

Le sperimentazioni in corso lanciate dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) e Moderna con tre vaccini sperimentali a mRna non valutano ancora l’efficacia sull’uomo, ma la sicurezza e l’immunogenicità. Si basano su uno studio condotto nel 2016 e pubblicato da Science, in cui i ricercatori dello Scripps Research Institute, La Jolla, hanno messo a punto una nanoparticella (il suo nome è eOD-GT8) rivestita con proteine Env gp120, che è stata in grado di legare e attivare la risposta di cellule B che producono proprio quegli anticorpi specifici per bloccare il sito di legame del virus con il recettore CD4 nelle scimmie e nell’uomo, e perciò impedirne l’entrata in cellula. Moderna ha convertito eOD-GT8 in un vaccino a mRna, “i ricercatori vogliono ora definire se con gli mRna sarà possibile attivare le stesse cellule B a produrre quegli stessi anticorpi in modo efficace e duraturo”.

Seppure questi trial dovessero dare risultati positivi, in questo caso, contrariamente a quanto è avvenuto per il Covid-19, gli studi di efficacia richiederebbero anni di sperimentazione.
“Il tasso di trasmissione dell’HIV, fortunatamente, è molto più basso rispetto a quello di Sars-CoV-2, quindi ci vuole molto più tempo, pur arruolando decine di migliaia di pazienti, per valutare l’efficacia di un vaccino”.

Un cauto ottimismo quindi, perché gli ostacoli sono molti e, anche nella migliore delle ipotesi, la strada per la commercializzazione di un vaccino sicuro ed efficace contro l’HIV è ancora lunga.

Bibliografia:

Morris, L. mRNA vaccines offer hope for HIV. Nat Med 27, 2082–2084 (2021). https://doi.org/10.1038/s41591-021-01602-4
HIV-1 broadly neutralizing antibody precursor B cells revealed by germline-targeting immunogen. DOI: 10.1126/science.aad9195

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