Un tempo da Nobel

Ritmi circadiani, sonno, metabolismo, temperatura corporea, rilascio di ormoni, comportamento alimentare. In una parola, cronobiologia; in due parole Premio Nobel. Sì perché questo è il tema che è valso il Premio Nobel 2017 per la Medicina a Jeffrey Hall, Michael Rosbash e Michael W. Young. Rispettivamente classe 1945, 1944 e 1949, i tre ricercatori americani hanno dimostrato, a partire dagli anni ’80, quali sono i meccanismi alla base del ritmo circadiano, il nostro orologio biologico interno, partendo da un piccolo esserino, il moscerino della frutta.

Ma andiamo con ordine. Per ritmo circadiano si intende quel “ticchettio” interno al nostro organismo che regola i ritmi di sonno e veglia nell’arco delle 24 ore. Il primo a intuire l’esistenza di un orologio biologico fu l’astronomo francese Jean Jacques d’Ortous de Mairan, nel XVIII Secolo, attraverso l’osservazione delle piante di mimosa. Si accorse, infatti, che le foglie della pianta si aprivano di giorno e si chiudevano di notte ma, tramite un esperimento, scoprì che lo facevano anche in assenza di luce diretta, segno questo della presenza di un meccanismo interno alle cellule che regolava questo processo.

I tre scienziati neopremiati, nel corso dei loro studi, sono riusciti ad isolare il gene, soprannominato poi period, scoperto da Benzer e Konopka negli anni ’70 e responsabile dello scandire del tempo nel nostro orologio interno, dimostrando che questo codifica una proteina che si accumula nelle cellule durante la notte e si degrada di giorno. Da qui poi l’intuizione che piante, animali ed esseri umani sottendono tutti alle stesse regole di base che governano i ritmi vitali sincronizzandoli quindi con la rotazione della Terra.

Gli studi dei tre scienziati pongono dunque le basi di quella che oggi è universalmente riconosciuta come cronobiologia, la scienza che studia i meccanismi del ritmo circadiano. Grazie a queste ricerche, gli studiosi stanno oggi esplorando nuovi approcci a nuovi trattamenti basati sui ritmi circadiani che consentono di individuare i momenti migliori della giornata per assumere determinate terapie, per mangiare, bere, fare attività fisica e, naturalmente, dormire.

Come molti lavori pionieristici, i risultati di Hall, Rosbash e Young furono accolti, e ora possiamo dire a torto, con scetticismo. Anche le ricerche di Satchidananda Panda, di cui abbiamo parlato nel numero di Popular Science ora in edicola, non vennero prese troppo sul serio dai National Institutes of Health americani. Panda, ricercatore del Salk Institute for Biology, ha studiato per oltre un decennio i legami tra metabolismo e orologio interno arrivando a dimostrare che se non si rispettano i normali ritmi biologici ne viene compromessa la nostra salute, a volte anche in modo irreparabile.

Quando il nostro orologio biologico va fuori fase, infatti, le ripercussioni possono essere di vario tipo e più o meno gravi, da semplice stanchezza e spossatezza, come ad esempio accade con il classico jet leg, a disturbi di ben altro calibro come depressione, malattie cardiache, obesità e diabete. Per entrare nel dettaglio degli studi di Panda e scoprire tutti i segreti che regolano il nostro tempo interno e quello della vita sulla Terra, non vi resta che correre in edicola.

MC

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