Tumore prostata: chirurgia radicale utile in pazienti con lunga aspettativa di vita

(Reuters Health) – Negli uomini con carcinoma prostatico localizzato – diagnosticato a causa dei sintomi o durante un controllo medico – la chirurgia prostatica radicale porta a un prolungamento della sopravvivenza di tre anni rispetto a un approccio di monitoraggio attivo. E il beneficio della chirurgia è più evidente negli uomini con meno di 65 anni.
Sono i risultati di uno studio coordinato da Anna Bill-Axelson, dell’Università di Uppsala, in Svezia, e pubblicato dal New England Journal of Medicine.

Lo studio
Il trial clinico ha coinvolto 695 uomini in 14 centri distribuiti tra Svezia, Finlandia e Islanda. Durante il follow-up, durato in media 23 anni, tra gli uomini sottoposti a chirurgia radicale si è verificato il 45% in meno di decessi dovuti al cancro della prostata .

E all’interno di tutte le cause di morte, i decessi in questa coorte di pazienti rappresentavano il 72%, mentre ra coloro che non si erano sottoposti all’intervento di chirurgia radicale la percentuale saliva all’84%.

Tutti i partecipanti avevano meno di 75 anni all’inizio dello studio, con un’aspettativa di vita di almeno 10 anni. Il tumore si è ulteriormente diffuso nel 27% del gruppo operato contro il 43% del gruppo che non si era sottoposto a chirurgia.

I commenti
“La prostatectomia radicale può curare il cancro della prostata, ma solo tra coloro che hanno una malattia letale e che sono abbastanza sani da non morire per qualche altro motivo”, sottolinea Bill-Axelson, secondo la quale la maggior parte delle persone ha una malattia a basso rischio. “Anche nel nostro studio con tumori in fase avanzata, quasi il 70% degli uomini è morto per altre cause, il che dimostra che non si dovrebbe trattare immediatamente, specie se parliamo di tumori a rischio basso o medio, per i quali sdovrebbe aspettare per vedere se diventano più aggressivi”.

I risultati della ricerca non sarebbero applicabili al tumore della prostata rilevato con screening specifico, come quello diagnosticato a seguito di analisi del sangue per misurare il PSA. E un’altra limitazione di questo lungo lavoro risiede nel fatto che le opzioni di trattamento sono cambiate rispetto a quando lo studio è iniziato, negli anni Novanta.

Nonostante questo, però, i risultati sono “importanti perché questo è il follow-up più lungo che abbiamo – ha dichiarato David Penson, del Vanderbilt University Medical Center di Nashville, negli USA, noncoinvolto nello studio – e perché dimostra che se ho una lunga aspettativa di vita e una malattia di grado elevato, probabilmente avrò bisogno di un trattamento chirurgico, che dà un vantaggio, e non è un vantaggio insignificante”.

Fonte: New England Journal of Medicine
Gene Emery
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

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