
Lo studio
I 408 pazienti, provenienti da 20 Paesi, sono stati arruolati dal 2004 al 2014 e sono stati valutati a 6 e 12 mesi secondo gli 8 punti dell’Extended Outcome Scale Glasgow. Grazie alla craniotomia decompressiva, il tasso di sopravvivenza  a un anno è stato del 69,6% rispetto al 48,1% con le cure mediche. Tuttavia la chirurgia ha quasi quadruplicato le probabilità di finire in coma un anno dopo l’intervento chirurgico: 6,2% (dopo l’intervento) rispetto all’1,7% (senza intervento). Maggiori le percentuali di disabilità nei pazienti operati rispetto a quelli trattati con farmaci anche se i pazienti chirurgici nel tempo migliorano e a 12 mesi quasi la metà era autonomo a casa rispetto al 32% di quelli sottoposti a trattamento farmacologico. A un anno nei pazienti chirurgici si sono riscontrati seguenti tassi: 30,4% per la morte, 6,2% per il coma, 31,4% per grave disabilità, 22,2% per la disabilità moderata e 9,8% per un buon recupero; nel gruppo di controllo i tassi sono stati rispettivamente: 52,0%, 1,7%, 17,9%, 20,1% e 8,4%. E’ la prima volta che uno studio dimostra un beneficio in termini di sopravvivenza molto chiaro ma, affermano i clinici, bisogna essere molto onesti con le famiglie circa il livello di disabilità che si può ottenere.
Fonte: NEJM 2016
Gene Emery
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

 
                                         
                                 
                                 
                                