Studio italiano: 4% atleti olimpici ha disfunzioni cardiache

(Reuters Health) – Circa il 4% degli atleti olimpici potrebbero essere a rischio mentre si allenano e gareggiano, a causa di difetti o disfunzioni al cuore di cui potrebbero anche non essere a conoscenza. È quanto emerge da un recente studio italiano, che ha esaminato più di duemila atleti che hanno preso parte ai Giochi che si sono tenuti dal 2004 (Olimpiadi di Atene) al 2014 (Olimpiadi invernali di Sochi) sottoponendoli a esami strumentali e di imaging come RM, TC e ECG. “Anche se si tratta di una piccola percentuale con anomalie, le conseguenze possono essere pesanti”, dice l’autore principale dello studio, Antonio Pelliccia, direttore scientifico dell’Istituto di medicina dello sport del Comitato olimpico nazionale di Roma. “Gli atleti possono essere sani, ma non al riparo da certi rischi come la sindrome della morte improvvisa”.

Lo studio
Pelliccia e colleghi hanno esaminato i risultati dei controlli su oltre 2.300 atleti durante il periodo dai Giochi Olimpici di Atene del 2004 a quelli di Sochi, in Russia, del 2014. All’interno del processo di screening cardiologico, il team medico ha integrato storia clinica, esame fisico, ECG e ecocardiogramma. È emerso che 92 atleti presentavano risultati anomali, tra cui problemi cardiaci ereditari, malattia delle arterie coronarie, ipertensione e patologie elettrofisiologiche come fibrillazione atriale e tachicardie. Il team non ha riscontrato importanti differenze in base al tipo di sport praticato. Nel complesso, nove dei 92 atleti con anomalie cardiache sono stati esclusi dalle competizioni e 17 hanno subito restrizioni temporanee, fino alla risoluzione delle anomalie stesse. Infine circa il 60% presentava problemi valvolari.”Non tutte le anomalie sono malattie e non tutte sono preoccupanti”, agiunge Pelliccia. “Le anomalie valvolari nei giovani, per esempio, possono essere trattate e non rappresentano una reale limitazione”.

I commenti
Dal 2009, il Comitato olimpico nazionale ha richiesto la valutazione periodica degli atleti di élite. Tuttavia poche organizzazioni – la Federazione internazionale di calcio (FIFA) e l’Unione ciclistica internazionale (UCI) – richiedono gli screening. Di fatto, fino ai Giochi Olimpici di Rio del 2016, non vi era alcuna valutazione medica richiesta universalmente.”I programmi di screening in Italia, soprattutto con gli elettrocardiogrammi obbligatori, negli ultimi anni sono stati tra i più incisivi”, dice Douglas Zipes, professore di cardiologia presso la Indiana University School of Medicine di Indianapolis, non coinvolto nello studio.”Gli ECG obbligatori hanno ridotto le morti improvvise e incoraggiato il resto del mondo a fare lo stesso, che peròsi pone ancora domande sui benefici, i costi e l’efficacia di renderli obbligatori”. Secondo un rapporto del 2014 dell’American Heart Association, nonostante le preoccupazioni, la morte improvvisa negli atleti è ancora piuttosto rara, ha osservato Zipes, con meno di 100 casi all’anno negli USA. Questo numero va confrontato con gli oltre 300.000 episodi di morte improvvisa ogni anno nella popolazione generale statunitense.

Fonte: British Journal of Sports Medicine 2016

Carolyn Crist

(Versione Italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

 

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