Spasticità post-ictus, la riabilitazione non è accessoria ma un tassello essenziale del percorso di cura. Il punto a Camerae Sanitatis

L’ictus colpisce in Italia circa 185mila persone all’anno: 150mila sono i nuovi casi e 35mila le persone che hanno un nuovo ictus dopo il primo episodio. È la terza causa di morte (dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie) e la prima causa di disabilità. Fino al 40% delle persone colpite da ictus sviluppa spasticità entro 6 mesi dall’evento acuto, con conseguenze significative sulla qualità della vita del malato ma anche su quella dei famigliari, chiamati a supplire alle ridotte capacità del loro caro e ad assisterlo nei suoi problemi di salute.

Diagnosticare precocemente la spasticità è fondamentale, così come garantire nel più breve tempo possibile l’accesso ad un piano integrato di intervento che può comprendere terapie riabilitative, trattamenti farmacologici personalizzati, interventi chirurgici, tecnologia e monitoraggio da parte di esperti. Eppure, ciò non sempre accade. In Italia, infatti, poco più della metà delle Regioni ha un Pdta per l’ictus. Le possibilità di presa in carico e riabilitazione sono molto variabili e spesso ridotte, pur in presenza di best practice nazionali in grado di offrire tecniche d’avanguardia per la riabilitazione.

Ospiti della puntata, condotta da Ester Maragò (Quotidiano Sanità) e dall’on. Angela Ianaro (presidente della Rete Interistituzionale Scienza & Salute), sono stati l’on. Simona Loizzo, la senatrice Elena MurelliGiovanna Beretta (presidente Simfer, Società italiana di Medicina fisica e riabilitativa Direttore S.C. Medicina Riabilitativa e Neuroriabilitazione ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda Milano), Franco Molteni (direttore Dipartimento Riabilitazione Specialistica, Direttore Unità Operativa Complessa Recupero e Riabilitazione Funzionale – Ospedale Valduce), Fabrizio Giorgio Pennacchi (presidente di A.L.I.Ce Lazio ODV) e Giuseppina Pipitone (presidente A.N.I.N, Associazione Nazionale Infermieri in neuroscienze).

Aprendo il dibattito, Angela Ianaro ha evidenziato l’importanza di dare voce a “un mondo sommerso, che deve trovare riconoscimento e dignità”. Quella dei pazienti con disabilità e, in particolare, con spasticità post ictus è, per Ianaro, “una istanza che va sostenuta con tutte le forze e i contributi necessari a portare a compimento un percorso iniziato già da tempo”.

Il riferimento è alla legge delega sulla disabilità, la 227/2021, che prevede l’attivazione di un’assistenza il più possibile personalizzata ed integrata anche tra la sfera assistenziale e quella di carattere amministrativa e burocratica, connettendo i diversi centri di competenza, di cui sono attesi i decreti attuativi entro il 2024. Inoltre, l’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità è stato prorogato fino al dicembre 2026 e sarà riorganizzato proprio per sviluppare Piano nazionale per la non autosufficienza del 2022 – 2024. C’è poi la recente la legge delega al Governo in favore delle persone anziane dello scorso giugno, mentre il tavolo tecnico istituito dal ministero della Salute lavora per il superamento delle criticità emergenti dall’attuazione dei DM 70 e DM 77 per la revisione degli standard di ospedali e territorio. Ma c’è anche la normativa per il riconoscimento dei caregiver.

Quest’ultima, ha spiegato, Simona Loizzo, cofirmataria del testo, “ha lo scopo di considerare l’assistenza a un famigliare con disabilità alla stregua di un lavoro, prevedendo una serie di riconoscimenti a livello contrattuale e pensionistico. L’obiettivo – ha aggiunto l’onorevole – è consentire alle persone di prendersi cura dei propri cari senza penalizzazioni o senza dovere sacrificare la propria vita lavorativa”. L’onorevole, che è anche presidente dell’Intergruppo Sanità Digitale, ha quindi evidenziato il contributo che il digitale e la telemedicina possono portare “per accelerare l’iter di alcune procedure e accorciare le distanze anche in termini assistenziali”.

La senatrice Elena Murelli ha voluto richiamare l’attenzione soprattutto sulle donne, “che rappresentano circa il 90% dei caregiver in Italia. Ma le donne – ha proseguito – sono stanche di farsi carico del welfare famigliare e sociale che lo Stato non è in grado di garantire. Lo Stato deve fare la sua parte, per sostenere i malati ma anche le donne”. Un’esigenza che, ha sottolineato la senatrice, “diventa più urgente tanto più diventa numerosa la popolazione anziana, che anche in assenza di malattia induce a una condizione di fragilità che richiede sostegno continuo”.

Nel suo intervento la senatrice ha sottolineato anche la necessità di supportare la ricerca, “quella che pensa alla prevenzione, quella che si occupa della cura quando l’ictus avviene ma anche la ricerca che aiuta la riabilitazione”. Murelli ha quindi espresso “soddisfazione per la qualità della ricerca italiana”, congratulandosi con Franco Molteni per l’importante successo recentemente ottenuto presso il suo Centro di Riabilitazione, dove è diventato attivo un esoscheletro di nuova generazione per consentire un allenamento intensivo e specifico della deambulazione per la terapia neuroriabilitativa, senza bisogno di sostegno.

Murelli ha infine acceso i riflettori su una criticità emersa, ha spiegato, nel corso dei lavori in commissione Affari Sociali, Sanità e Lavoro: “Esiste, per la riabilitazione post ictus, un nuovo tipo di terapia, con tossina botulinica, che però viene utilizzata solo sul 10-15% dei casi fondamentalmente per carenza, anche tra i professionisti, di awareness, comunicazione e informazione. Su questo fronte è necessario fare di più”.

Per Franco Molteni il primo passo per un modello efficiente di presa in carico del paziente post-ictus deve prevedere “un collegamento diretto tra le Stroke Unit e i reparti di medicina riabilitativa”. Questi ultimi, poi, “devono saper accogliere i pazienti in tempi rapidi e, successivamente, garantire il passaggio sul territorio e al domicilio del paziente. Il fattore continuità è infatti fondamentale per il successo di un percorso riabilitativo”.

L’esperto ha evidenziato, ancora, l’importanza di “processi di cura personalizzati, rapportati adeguatamente alla complessità della disabilità del paziente e inseriti nel contesto di vita dello stesso”. La riabilitazione deve essere un percorso “intenso ed efficacemente modellato, se si vuole che restituisca una persona con meno disabilità possibile o con il minore rischio di sviluppare disabilità in futuro”. In questo contesto, “il caregiver, il nucleo famigliare e quello sociale sono alleati di cui non possiamo fare a meno”.

Tutto questo, ha spiegato Molteni, si ottiene solo puntando anche a “una formazione multiprofessionale delle singole figure coinvolte nel processo di cura, affinché mettano in campo la gestione corretta del paziente”. Serve professionalità e competenza specifica ma anche “molta capacità di lavorare insieme”, ha sottolineato l’esperto, spiegando che, oltre alla riabilitazione, un paziente con spasticità post ictus ha l’opportunità di ricorrere a terapie farmacologiche per via generale e inoculabili locoregionali, come la terapia botulinica. “L’integrazione di questi interventi è fondamentale, così come essenziale è riconoscere con esattezza quando iniziare le terapie e con che dosaggi”. Le terapie farmacologiche, ha però ribadito Molteni, vanno integrate a un programma di riabilitazione ed esercizio, anche con il supporto di ortesi, così come con altri ambiti di assistenza, come quello nutrizionale.

“Si può e si deve fare tanto per questi pazienti, ma la multi-modalità di trattamento richiede estrema professionalità e precisione”, ha detto ancora una volta Molteni.

Concorda Giovanna Beretta, che pone l’attenzione anche sulla tempestività degli interventi. “È importante valutare il paziente già nella fase acuta per far emergere quei fattori predittivi che consentono di capire se paziente rischia di sviluppare spasticità nei mesi successivi. Questa capacità predittiva permette di indirizzare il paziente verso i centri più adatti ad attivare un programma di trattamento specifico e, dunque, di ridurre l’eventuale impatto della spasticità sulle funzionalità del paziente”.

Beretta ha ricordato come la Simfer sia una società scientifica dedicata a tutte le disabilità e non solo a quella post ictus. Poi ha spiegato come “la riabilitazione stia vivendo una fase importantissima”, in cui “i decreti che stanno per essere licenziati potranno dare una volta per tutte slancio al settore”. E ce ne è davvero bisogno, ha osservato la presidente della Simfer, sottolineando come la riabilitazione sia il terzo settore per attività del Ssn ma resti un ambito ancora fragile rispetto ai bisogni. “Secondo l’Oms ci sono almeno 27mln di italiani affetti da almeno una condizione che richiederebbe il ricorso a servizi riabilitativi. Una realtà importante ma ancora trascurata”.

Anche per Beretta il paziente e i suoi caregiver sono un elemento fondamentale del progetto riabilitativo, “non è pensabile costruire piani di assistenza senza contare sulla loro collaborazione e ascoltare i loro bisogni”.

Beretta ha infine lanciato un appello alle istituzioni: “La nostra disciplina ha bisogno di attenzione, perché la riabilitazione non è un elemento accessorio nell’assistenza, ma un’arma terapeutica di fondamentale importanza. Per questo chiediamo di sedere ai tavoli istituzionali e che, nell’ambito della revisione dei dm 70 e 77, venga presa consapevolezza della necessità di investire sulla riabilitazione”.

Le normative, per la presidente Simfer, permetterebbero anche di “misurare e descrivere con correttezza il paziente, partendo dal livello ospedaliero per scendere poi a tutti gli altri livelli, inserendo, quindi, questa ‘descrizione’ in tutti i setting del percorso di cura di quel paziente”. Questo permetterebbe di ottimizzare l’assistenza perché, ha spiegato Beretta, “non sempre al bisogno di intensità riabilitativa corrisponde lo stesso bisogno di intensità sanitaria. Servono modelli fatti sulla persona”. Ma questo permetterebbe anche di capire l’importanza strategica del settore della riabilitazione. “Vogliamo misurare e farci misurare – ha concluso Beretta – vogliamo descrivere il nostro lavoro, perché siamo sicuri che da tale monitoraggio potrà emergere quanto è a favore della persona”.

Quella al paziente colpito da ictus e da spasticità è un’assistenza, come detto, che richiede un approccio multiprofessionale. Lo sa bene anche Giuseppina Pipitone: “Servono tanti professionisti, tutti con alle spalle percorsi formativi specifici di alta formazione”.

Per gli infermieri, ha aggiunto la presidente della Associazione Nazionale Infermieri in neuroscienze, “lo scenario è ancora in divenire, ma anche la Federazione sta lavorando per creare figure con competenze specifiche sempre maggiori, consapevoli che questo può fare la differenza. Importante è anche la diffusione della figura dell’infermiere di comunità, che può essere il vero collante tra paziente, famiglia, medico di medicina generale, ospedale e territorio”. L’infermiere inoltre, ha osservato Pipitone, “è colui che risponde alle chiamate del 118 o che si occupa del triage in Pronto soccorso. È quindi il professionista da cui dipende l’avvio del percorso corretto, e in una patologia tempo-dipendente come l’ictus è più importante essere veloci e precisi”.

Pipitone ha infine acceso i riflettori su quanto di più di può fare per la prevenzione degli ictus e di altre patologie. “Con stili di vita corretti, anzitutto, e programmi di educazione sanitaria che dovrebbero iniziare già in età scolare”. Prevenire, quindi, ma anche imparare a “riconoscere i segnali di alcune malattie, attraverso la diffusione di conoscenze che, per quanto riguarda l’ictus, potrebbero dalla diffusione del significato dell’acronimo Fast”, che indica i segnali di possibile ictus in atto: Face, faccia (paresi facciale: se la bocca appare storta, gli angoli “cadono” verso il basso o un lato non si muove come l’altro); Arms, braccia (deficit motorio degli arti superiori: le braccia appaiono deboli e il soggetto non riesce a tenerle entrambe tese in avanti orizzontalmente), Speech, linguaggio (difficoltà nel linguaggio), Time, tempo (se è presente anche solo uno di questi segni chiamare immediatamente i soccorsi).

Fabrizio Giorgio Pennacchi è stata infine affidata la voce dei pazienti. “Come associazione – ha detto -, cerchiamo di portare sostegno ai pazienti e alle loro famiglie, ma anche di fare informazione in termini di stili di vita per la prevenzione e di riconoscimento dei sintomi, ma anche di portare all’attenzione degli esperti e delle istituzioni i bisogni dei malati e dei caregiver”. Secondo Pennacchi, ad esempio, sarebbe necessario garantire ai pazienti e alle famiglie un servizio di supporto psicologico.

Serve anche maggiore formazione sull’ictus tra gli operatori sanitari che non hanno alle spalle percorsi specifici: “Oggi i medici di famiglia sono spesso impreparati a riconoscere i bisogni del paziente e a indirizzarli verso il percorso assistenziale più adatto”, ha detto.

Il presidente di Alice Lazio Odv ha posto anche in evidenza come queste attività di supporto ed educazione sanitaria, e in generale di assistenza ai malati cronici e ai disabili, abbiano subito una grave frenata durante la pandemia da Covid-19. “Ora che il Covid è passato – ha commentato – è necessario riportare l’attenzione su questi temi” così come “lavorare per ridurre le differenze territoriali sul territorio, perché l’Italia è un paese con enormi eccellenze ma anche caratterizzato da una grande disomogeneità, che penalizza in particolare alcune regioni o le aree di provincia”.

Le cose da fare, per Pennacchi, sono tante, “piccole e grandi”. Richiedono “competenze ma anche elasticità”. E “un confronto continuo, al letto e a casa del pazienti ma anche nelle sedi opportune e ai tavoli istituzionali”.

Lucia Conti

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