Sanitask. Il personale del Ssn deve essere valorizzato economicamente ma attraverso un ambiente di lavoro organizzato, sereno e stimolante

Innovazione e digitalizzazione, ma anche persone e personale, specialisti e governance. La sanità del piano nazionale di ripresa e resilienza deve necessariamente passare anche per il capitale umano e questo non solo per garantire la messa a terra delle riforme, ma anche per assicurare l’accesso all’assistenza sanitaria in modo equo. Il sito del Governo alla voce dedicata al Pnrr — e in particolare alla missione Salute-Investire sul personale sanitario — specifica che ci saranno investimenti nella formazione del personale per rafforzare l’efficacia, l’adeguatezza, la sicurezza e l’efficienza dei servizi assicurati dal Servizio sanitario nazionale. E ancora precisa che si investirà nella formazione del personale sanitario in medicina di base e specialistica e nel rafforzamento delle competenze manageriali e digitali. Il Pnrr prevede, inoltre, l’erogazione di corsi per l’acquisizione di competenze, abilità manageriali e digitali per 4.500 professionisti del Ssn. Ma è questo l’orizzonte unico della valorizzazione del capitale umano? Di fronte alle rigidità e alla burocrazia del settore pubblico da un lato, e alla pressione costante e spesso sfocia in un burnout dall’altro, cosa significa investire nei professionisti? Di tutto questo si è parlato nell’ultima puntata del Talk mensile di SaniTask, il progetto editoriale rivolto al management della sanità realizzato da Sics Editore con il supporto di Alfasigma e condotto da Corrado De Rossi Re.

Ospiti della puntata dedicata alla valorizzazione del capitale umano sono stati Marzia Sandroni, coordinatrice del tavolo dei comunicatori di Federsanità Anci; Gianfranco Finzi, presidente Anmdo (Associazione nazionale medici di Direzione ospedaliera); Francesco Saverio Mennini, presidente Sihta (Società italiana di Health Technology Assessment); Luciano Pletti, vicepresidente Card (Confederazione delle Associazioni regionali di Distretto) ed Eva Colombo, direttore generale Asl di Vercelli e vice presidente Fiaso.

Ad aprire il confronto Eva Colombo, che ha accennato alla necessità di un maggiore riconoscimento economico, ma ha voluto soprattutto evidenziare altri aspetti che oggi sono fonte di insoddisfazione e burn out. Ad esempio la mancata capacità del sistema sanitario di far fronte ai bisogni dei cittadini, la cui rabbia viene riversata sul personale sanitario. “Basti pensa che nei periodi più caldi della pandemia il personale sanitario veniva chiamato eroe e successivamente, di fronte all’incapacità del sistema di rispondere alle aspettative dei cittadini sull’offerta di prestazioni per curare le patologie ordinarie, gli eroi hanno cessato di essere tali”.

Per la vice presidente Fiaso, nel rapporto tra cittadini e sistema sanitario, quindi i suoi professionisti, può quindi rivelarsi fondamentale “una comunicazione che consenta di far comprendere le difficoltà del Ssn”. Non si tratta tanto di giustificare, per Colombo, bensì di “mostrare, a livello nazionale e locale, quanto le direzioni aziendali e i professionisti facciano per cercare di superare le criticità, ad esempio quelle delle liste d’attesa”.

Anche Federsanità Anci, ha spiegato Marzia Sandroni, “sta lavorando già da qualche anno sulla comunicazione, sia rivolta al cittadino sia ai professionisti”. Una comunicazione che sia “parte integrante del sistema fin dal momento della programmazione delle azioni. È questo l’invito che abbiamo già lanciato ad Agenas, alle Regioni, all’Istituto superiore di Sanità e ai ministeri coinvolti: istituire un tavolo dei comunicatori in sanità che possa affiancare le azioni che hanno a che vedere con la salute e con il sociale, in modo da potere, insieme, dare significato e forma ai progetti, ad esempio quelli del Pnrr”.

L’auspicio della coordinatrice del tavolo dei comunicatori di Federsanità Anci è, inoltre, che dal Pnrr possano arrivare anche “azioni concrete di rafforzamento, ovvero che in ogni progetto del Pnrr venga tenuto a mente chi sono gli attori, che poi di quei progetti si devono sentire parte per poter collaborare in modo sinergico a quegli obiettivi”. Ma chi è il personale secondo Sandroni? “Il personale motivato non è quello che lavora tanto, ma è quello che lavora con passione, che in ogni occasione stimola la creatività e cerca soluzioni innovative per rispondere sempre meglio ai bisogni emergenti, che si mette in gioco per far progredire al massimo la propria azienda. È il personale che si sente interconnesso, che non rincorre la propria personale soddisfazione ma la vittoria della squadra”.

Per Gianfranco Finzi, non è tuttavia semplice, in un periodo storico così complesso, trovare gli strumenti per valorizzare il personale sanitario all’interno delle strutture pubbliche. “C’è bisogno di soluzioni nuove, sicuramente di un maggiore riconoscimento economico, perché in Italia abbiamo buonissimi medici ma con le retribuzioni tra le più basse d’Europa. La gratificazione salariale è una questione che va risolta e affrontata in modo specifico e veloce, perché non è accettabile che ci siano voluti più di 10 anni per approvare l’ultimo contratto nazionale dei medici e del personale infermieristico”.

C’è poi da realizzare, per il presidente Anmdo, una gratificazione di tipo “intellettuale”. Trovare dei meccanismi per stimolare le competenze, “ad esempio attraverso dei corsi di formazione”; ma anche “motivare i lavoratori sul piano empatico” e agire sul piano della “gratificazione del personale legata ai mezzi di comunicazione, che spesso accende i riflettori su cosa non funziona ma raramente su cosa va bene, e alla relazione con l’utenza/paziente”. È chiaro, ha osservato Finzi, che molti strumenti sono legati anche questi alle disponibilità economiche e quindi l’impegno delle direzioni aziendali deve andare nel cercare di tenere conto di tutti questi aspetti nel limite delle loro possibilità.

Luciano Pletti ha quindi posto l’accento sul ruolo del leader, “elemento centrale per la valorizzazione del capitale umano, ma mentre il tema in ambito privato è già stato affrontato da tempo, con l’abbandono della figura dell’uomo solo al comando, che assomiglia più a un boss che a un leader, nel pubblico la stessa riflessione non è stata fatta altrettanto approfonditamente”. Per il vicepresidente Card “la globalizzazione e la crescente necessità di conoscenze sempre più specifiche hanno invece richiesto che le responsabilità e l’iniziativa fosse distribuita. Un leader si avvale di collaboratori per colmare la complessità di competenze che, evidentemente, non può avere tutte lui”.

Cosa deve avere, allora un leader? Per Pletti “la capacità di seminare, cioè di lanciare i germi del cambiamento fra i collaboratori, ma anche di raccogliere, cioè di evidenziare e sfruttare gli apporti e i successi che arrivano da parte di tutti. Serve poi la capacità di essere anche ‘opportunista’, nel senso di sapere cogliere il momento giusto e luogo opportuno per agire. Deve poi saper uscire dagli schemi per guardare le cose da altri punti di vista e trovare soluzioni originali. Ancora, essere attento e curioso, deve guardarsi intorno e capire quali sono le buone esperienze da mutuare. E poi deve avere umiltà, quindi la consapevolezza di capire che c’è sempre ampio spazio di miglioramento e che si può imparare da chiunque”.

Per il vicepresidente Card, visto quanto premesso sopra, quando si parla di leadership bisogna allora tenere conto non solo del top o nel middle management, ma anche dei leader intermedi, quelli che lavorano nell’equipe a livello operativo, che devo essere adeguatamente formati per guidare le attività all’interno di un sistema coordinato per il raggiungimento di obiettivi chiari”.

L’emergenza Covid, ha detto Francesco Saverio Mennini, “ci ha fatto comprendere una volta di più quanto sia importante il ruolo del personale sanitario e socio sanitario per garantire una corretta, efficiente ed efficace assistenza sanitaria. Spesso e volentieri il personale viene sottovalutato. Spesso e volentieri non ci si rende conto dei sacrifici che compie all’interno delle strutture, come quelle ospedaliere, in condizioni spesso non favorevoli dal punto di vista strutturale e organizzativo e con remunerazioni non allineate a quelle degli altri Paesi industrializzati”.

Per il presidente Sihta “l’Italia ha sulla carta il più bel sistema sanitario del mondo, ma la verità è che in termini di operatività non è così. A salvarci sono proprio i professionisti e il lavoro incessante che, con grande impegno, compiono quotidianamente per cercare, con risorse non sufficienti, di garantire la migliore assistenza sanitaria a tutti”. “L’Italia – ha precisato ancora Mennini – ha tantissime eccellenze che, bisogna ricordarlo, sono figlie del personale che lavora e che può essere coadiuvato dalle tecnologie, ma se non c’è la persona a far funzionare la macchina, il risultato non sarà mai efficace quanto potrebbe esserlo”.

Per il presidente Sihta la priorità, quando si parla di personale sanitario, resta dunque quella di un “investimento per renderlo più numeroso e per remunerarlo in maniera adeguata”.

Nella seconda parte della trasmissione, gli ospiti di Sanitask hanno detto la loro sul fenomeno della migrazione dei professionisti tra una struttura a un altra. Per Gianfranco Finzi questo passaggio, spesso in tempi ristretti, “penalizza la struttura ma anche il professionista, che non ha tempo di imparare sufficientemente tutto quello che era possibile apprendere in quella struttura”. In questo modo “il passaggio da una struttura all’altra dei professionisti finisce per penalizzare anche i cittadini nonché mettere a rischio la creazione di centri di eccellenza in Sanità”.

L’attrattività di una azienda serve quindi non solo a valorizzare il personale, ma anche fidealizzarlo. “Non è solo l’aspetto retribuivo a rendere una struttura attrattiva, ma anche il modello organizzativo gestionale”, ha detto Francesco Saverio Mennini, secondo il quale “se si riuscisse a disegnare dei percorsi di presa in carico efficienti, se si riuscisse a utilizzare modelli integrazione ospedale- territorio-assistenza domiciliare che agevolino anche l’attività del personale sanitario, credo che molti professionisti, magari con un piccolo aggiustamento retributivo, sarebbero disposti a rimanere nel sistema pubblico e lavorerebbero con maggiore entusiasmo. E forse riusciremmo anche ad attrarre professionisti stranieri, che con le loro esperienze diverse sarebbero un importante fonte di arricchimento per il settore”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Luciano Pletti, che in merito alla leadership ha ricordato anche la battaglia della Card per l’istituzione di un albo dei Direttori di distretto, “che vuole dire anche requisiti standard per garantire competenze e capacità”. Tra gli altri strumenti per un’organizzazione efficiente, gratificante e attrattiva il vicepresidente Card ha citato la Centrale operativa della centrale operativa, “il cui ruolo di filtro sarà strategico” e l’essenziale lavoro di “stratificazione del bisogno” che va compiuto. Poi “la cosiddetta community building, in cui la comunità non è vista solo come bacino di utenza, ma anche come identità sociale e quindi bacino di risorsa”. Fondamentale infine, per Pletti, “la definizione chiara degli indicatori di processo di performance e qualità, di coordinamento, di continuità”.

Eva Colombo, condividendo le osservazioni che l’hanno preceduta, ha messo sul tavolo della discussione altri spunti per la valorizzazione del personale. “Credo che il clima organizzativo all’interno del luogo di lavoro non sia da sottovalutare, perché un ambiente positivo genera migliori relazioni tra le persone che a loro volta spingono in alto le performance e quindi la gratificazione per di raggiungere gli obiettivi. Bisogna poi coltivare i talenti, le persone più volenterose, stimolandole anche attraverso l’offerta formativa. Occorre poi lavorare sulla sicurezza dei posti di lavoro, perché è evidente che il clima di tensione e gli episodi di violenza non sono elementi gratificanti. Infine rivedere i processi laddove le cose non funzionando, perché a volte basta riorganizzare per riuscire a svolgere le attività un modo più snello, con risultati migliori e migliore benessere di chi lavora a quell’attività”. Per Colombo, in vista del Pnrr, sarà importante anche promuovere la formazione dei professionisti sulle nuove tecnologie, “che rischiano di diventare motivo di stress e rifiuto per il personale che non sa gestirle”

Da Marzia Sandroni ancora un appello a puntare sulla comunicazione, “che può incidere sul rischio clinico. Pensiamo anche ai contenziosi o le richieste di risarcimento: quante di queste richieste sono collegate a una comunicazione approssimativa, alla mancanza di relazione, che sempre dipende dalla comunicazione, che ha fatto sentire il cittadino non preso in cura o addirittura offeso perché ha percepire un suo bisogno come banalizzato”. Per Sandroni “è quindi fondamentale che la comunicazione acquisisca quel ruolo da protagonista che ha avuto durante il Covid”.

Lucia Conti

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