Rotture menisco: esercizio fisico valido quanto l’operazione

meniscoPer gli adulti di mezza età la chirurgia potrebbe non essere la prima opzione. La fisioterapia e l’esercizio fisico, infatti, potrebbero essere efficaci quanto il ‘bisturi’. Questa la conclusione di uno studio pubblicato sul British Medical Journal condotto presso l’ospedale norvegese Martina Hansens.

Lo studio solleva dubbi su una pratica chirurgica molto diffusa (si stimano circa 2 milioni di artroscopie del ginocchio praticate ogni anno nel mondo con una spesa per pazienti e sistemi sanitari di molti miliardi di dollari) che però non è supportata da evidenze scientifiche. Le rotture del menisco si riscontrano in soggetti di ogni età. Possono avvenire per cause traumatiche nei giovani oppure, dopo i 45 anni, in seguito ad un processo degenerativo dei tessuti del ginocchio.

L’artroscopia è un intervento molto praticato e i ricercatori hanno voluto vedere se vi fossero o meno reali ragioni per tale diffusione, così hanno allestito una rigorosa sperimentazione clinica su 150 pazienti tutti con rottura del menisco. Metà dei pazienti sono stati operati, gli altri hanno seguito un percorso di terapia fisica (esercizi più volte a settimana sotto il controllo di esperti). A distanza di tempo la funzione del ginocchio nei due gruppi non presentava differenza, come pure il dolore lamentato o la capacità di fare sport e altre attività ricreative da parte dei pazienti.

I risultati suggeriscono quindi che non vi è ragione di procedere subito all’intervento, e che l’esercizio fisico è un’ottima opzione alternativa. “In un mondo in cui si fa sempre più evidente il problema delle risorse limitate e degli sprechi medici di dimensioni epidemiche, quel che non dovremmo fare è consentire alla comunità degli ortopedici, agli amministratori degli ospedali, ai fornitori di assistenza sanitaria di ignorare i risultati di sperimentazioni rigorose e continuare l’uso diffuso di procedure per le quali non ci sono mai state prove convincenti”, commentano Teppo Jrvinen dell’Università di Helsinki e Gordon Guyatt della McMaster University in Canada in un editoriale sul BMJ.

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