Piemonte: Verso un Manifesto comune per la ridefinizione della presa in carico delle malattie infiammatorie croniche

Nella prospettiva assai complessa di voler mettere in atto ogni strategia utile all’abbattimento delle liste di attesa, le malattie reumatiche non sono quasi per nulla considerate. Questo l’incipit attorno il quale si sono confrontati esperti e rappresentanti istituzionali della Regione Piemonte nel corso dell’incontro sul tema promosso a Torino da Quotidiano Sanità e supportato incondizionatamente da Galapagos. Quasi sempre, denunciano gli esperti, alle Patologie infiammatorie croniche in molti si limitano ad associare prevalentemente problemi muscolo-scheletrici trascurando il fatto che malattie reumatiche come l’artrite reumatoide, per esempio, hanno un elevato rischio di comorbidità, sono quindi legate ad altre patologie molto gravi richiedendo interventi urgenti e necessitano di medici specialisti, di cui c’è carenza.

All’incontro hanno partecipato Enrico Fusaro, Direttore Struttura Complessa di Reumatologia AOU “Città della Salute e della Scienza” Torino, Annamaria Iagnocco, Professoressa di Reumatologia Università degli Studi di Torino, Presidente EULAR, Aurora Ianniello, Responsabile Reumatologia ASL Novara, Federica Riccio, Azienda Zero, Roberto Venesia, Segretario FIMMG Piemonte, Pietro Presti, Consulente Strategico Regione Piemonte, Franco Ripa, Responsabile Programmazione dei Servizi Sanitari e Socio-Sanitari Regione Piemonte e Rosetta Vitetta, Responsabile SSD Reumatologia, ASL Vercelli.

E se le malattie infiammatorie croniche possono a ben vedere rappresentare un efficace paradosso anche nell’ambito del più vasto Piano nazionale di recupero (PNGLA) che giustamente investe prioritariamente nelle problematiche di carattere oncologico e cardiologico, non sono scevre da problematiche in termini di diagnosi precoce e presa in carico tra ospedale e territorio. Un percorso integrato sicuramente problematico che si scontra, come accennato, anche con il numero di professionisti dedicati. In Piemonte si stimano circa 30.000 pazienti affetti da Artrite Reumatoide e se ciascuno dovesse essere visitato almeno due volte in un anno sarebbero 60.000 visite. L’ultimo dato regionale del 2016 fissa il numero di visite reumatologiche effettuate complessivamente a circa 57.000. Il che significa che sono state effettuate per tutte le patologie molte meno visite che rispetto ad una sola una. È un problema di numero di specialisti, di centri specialistici che devono poi guidare anche la somministrazione di terapie (specialmente quelle più innovative) ma anche di integrazione con altre figure professionali che a loro volta dovranno partecipare alla presa in carico in virtù delle comorbidità che queste patologie portano con loro.

La Telemedicina (non certo per le prime visite) potrebbe, secondo gli esperti, contribuire. Ma solo in alcuni momenti del percorso di vita del paziente con la sua patologia e solo per alcuni ambiti di monitoraggio se parliamo di “televisite”. In maniera forse un po’ più coerente e diffusa  se invece parliamo di “teleconsulto” tra specialisti e Mmg anche se questo fronte presenta ancora non poche criticità in termini tecnologici e organizzativi.

Ma fondamentalmente è opinione condivisa che i malati reumatici debbano essere conosciuti meglio. Soprattutto nelle loro complicanze che, quando si verificano, non soltanto incidono profondamente sulla qualità di vita di pazienti e famiglie ma anche sul Servizio sanitario in termini di costi diretti e indiretti.

Nello specifico dell’esperienza vissuta in Piemonte dove, come nel resto d’Italia, i reumatologi sono stati “ingaggiati” anche per l’emergenza Covid, il ritorno ad una sostanziale normalità non ha coinciso con un incremento delle possibilità di recupero delle visite perse, aggravando ulteriormente il problema. Se a questo si aggiunge tutta la problematica della diagnosi precoce (poiché tantissime persone non sanno di avere in nuce una problematica di carattere infiammatorio), il quadro che ne deriva è quello di un ambito in grande sofferenza.

E allora, forse più che la telemedicina, quello a cui bisognerebbe davvero aspirare, come condiviso da molti dei partecipanti all’incontro, è un concreto investimento nella gestione integrata delle patologie croniche (che avviene anche, ma non solo, attraverso sistemi digitali condivisi). Una gestione integrata che, leggendo magari in maniera un po’ semplicistica il problema delle liste d’attesa come una dinamica tra domanda di salute e offerta di servizi, possa far leva sull’appropriatezza per tutelare, proattivamente, innanzitutto i più fragili o comunque più a rischio di complicanze con l’applicazione di piani individuali di assistenza.

Una prospettiva, quella del piano individuale ma, ancor prima, dell’attenta analisi del “patient journey” condivisa anche dalla compagine istituzionale secondo cui, a prescindere dal fatto che queste patologie siano o meno ricomprese in un Piano nazionale, spetta poi alla Regione e al suo intero corpus di professionisti dettare in qualche modo le regole del gioco facendo attenzione, tra l’altro, a non confondere gli sforzi di recupero delle prestazioni non fatte in epoca pandemica con la messa a terra di una vera e propria governance delle patologie croniche come quelle oggetto dell’incontro che non deve sfilacciarsi, a partire dalla prima diagnosi.

Di qui la proposta, condivisa da tutti partecipanti, di elaborare tutti insieme un vero e proprio manifesto che indichi una serie di azioni, di obiettivi concreti, condivisi con le associazioni, con gli specialisti, con i medici di famiglia e che, prendendo le mosse dalle esigenze espresse, ridisegni in qualche modo il sistema analizzando, punto per punto, tutto il percorso e gli elementi utili ad una reale presa in carico integrata, anche utilizzando le prospettive più immediate e utili della digitalizzazione.

Approfondimenti:

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