
Il nuovo ricombinante, che non ha ancora un nome, è stato isolato fra marzo e aprile in tre pazienti a Venezia e Padova, come rende noto l’Istituto Zooprofilattico delle Venezie; per le sue caratteristiche si distingue sia da XJ sia da XE e al momento non è nota la sua diffusione sul territorio regionale. Di queste ‘prove di evoluzione’ del virus Sars-CoV-2 esistono già molti esempi, come testimonia la lunga serie di ricombinanti finora identificati in tutto il mondo. Si chiamano XA, XB, XC, XH e XE, e tutti sono risultato della combinazione di sotto-varianti di Omicron. A questi si aggiungono XD e XF, nati invece dalla combinazione delle varianti Omicron e Delta; c’è anche XQ, isolato in Gran Bretagna, mentre XG è stato identificato in Danimarca e XK in Belgio.
È un altro esempio di come la variante Omicron continui a evolvere, e che lo faccia con la rapidità che finora ha caratterizzato la sua storia. Scoperta l’11 novembre 2021 in Botswana, il 26 dello stesso mese era già stata riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) come una delle varianti da seguire con attenzione (VOC, Variant of Concern). È diventata presto dominante ovunque, soppiantando la variante Delta che l’aveva preceduta, e ha cominciato a dare origine a delle sotto-varianti: la BA.1, la BA.2 che attualmente è la più contagiosa e sta scalzando la prima, e poi la BA.3, seguita dalla BA.4 e dalla BA.5, entrambe identificate in Sudafrica e poi in molti Paesi europei e asiatici. A rendere la Omicron così infettiva è il grande numero di mutazioni accumulate, ben 60 delle quali sono nuove rispetto a quelle presenti del virus Sars-CoV-2 originario di Wuhan. Di queste 60 mutazioni, ben 32 si trovano nella proteina Spike, con la quale il virus si aggancia alle cellule umane. Oltre a questo patrimonio di mutazioni, BA.2 ne ha 28 che la differenziano dalla BA.1 e alle quali deve probabilmente il fatto di essere dal 30% al 50% più infettiva.
