
La ricerca
Dallo studio, una revisione di ricerche precedenti, emerge che tendiamo in situazioni di socialità a simulare le espressioni facciali altrui per creare una sorta di risposta emotiva: se ci si troviamo ad esempio in compagnia di un amico triste potremmo a nostra volta assumere un’espressione triste senza neppure realizzare di averlo fatto, perché ciò ci aiuta a riconoscere quello che l’amico sta provando associandolo ad altre esperienze passate in cui noi stessi abbiamo avuto la stessa espressione. Questa capacità di riconoscere e condividere emozioni – rilevano gli studiosi – può essere inibita se non si riesce a mimare le
espressioni, come ad esempio accade con una paralisi facciale dopo un ictus o nella paralisi di Bell, o ancora dopo un danneggiamento del nervo dovuto alla chirurgia plastica e rappresenta una sfida anche per persone con disturbi legati alla socialità come l’autismo.
