Nel Dna umano una variante genetica che tiene a bada l’Hiv

Scoperta nel Dna umano una variante genetica associata a un miglior controllo dell’infezione da Hiv: presente nel 4-13% delle persone di origine africana, comporta una minore carica virale, una più lenta progressione della malattia e un minor rischio di trasmissione del contagio. Lo studio, che potrebbe aprire la strada a nuove terapie, è pubblicato su Nature da un team internazionale guidato dall’Imperial College di Londra, dal Politecnico federale di Losanna e dal Laboratorio nazionale di microbiologia in Canada. Anche l’Italia partecipa attraverso l’Università di Siena, quella di Modena e Reggio Emilia e il San Raffaele di Milano.

Considerato che gran parte di ciò che sappiamo sulla relazione tra il genoma umano e il virus Hiv proviene da studi su popolazioni europee, i ricercatori hanno deciso di allargare il campo di indagine analizzando il Dna di quasi 4.000 persone di origine africana che convivono con il virus Hiv-1, il tipo più diffuso al mondo. Dai dati raccolti è emersa una variante genetica che si associa a livelli del virus più bassi. Questa variante è stata localizzata in una regione del cromosoma 1 che contiene il gene CHD1L, già conosciuto per il suo coinvolgimento nei meccanismi di riparazione del Dna: serve infatti a produrre una proteina che aiuta la doppia elica danneggiata a dispiegarsi per facilitare gli interventi di ‘manutenzione’.

Resta ora da capire come CHD1L possa influire sulla carica virale. Dato che il virus colpisce le cellule immunitarie, i ricercatori hanno provato a vedere cosa succede se nel loro Dna viene spento il gene CHD1L. I risultati dimostrano che la sua disattivazione favorisce la replicazione del virus nei macrofagi ma paradossalmente non nelle cellule T, che sono quelle maggiormente coinvolte nella replicazione virale.

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