Sono circa 13 milioni gli italiani che soffrono di insonnia. Di questi più del 60% è donna ma solo 2 su 5 riconoscono di soffrire di questo disturbo. Patologia sottostimata, serve riconoscerla in tempo. Il punto sull’insonnia cronica durante una conferenza stampa organizzata da Idorsia a margine del 50° Congresso Nazionale SIP che si è tenuto a Bari dal 5 all’8 novembre scorso.
L’insonnia cronica ha un volto prevalentemente femminile. È una condizione che accompagna, spesso in silenzio, la vita di milioni di donne italiane, interferendo con la loro salute fisica, mentale e sociale. Come evidenziato da una recente indagine condotta da Idorsia su un campione di 200 donne italiane di età compresa tra i 40 e i 60 anni, l’insonnia è un fenomeno diffuso ma, ancora poco riconosciuto. Le partecipanti hanno riferito una difficoltà di sonno in media per cinque notti a settimana, che si protrae da oltre sei anni: un pattern che, secondo i criteri del DSM-V, rientra nel disturbo di insonnia cronica. Eppure, per una diagnosi di insonnia cronica basta soffrire di disturbi del sonno almeno tre volte a settimana per tre mesi.
Nonostante ciò, solo due donne su cinque sono consapevoli di soffrirne realmente, segno di una percezione ancora limitata del problema. Il 68% delle intervistate si dichiara insoddisfatta della qualità del proprio sonno, e il 62% afferma che le difficoltà notturne interferiscono con la vita quotidiana. L’impatto del disturbo è rilevante su molteplici aspetti della vita: il 72% riporta conseguenze sulla salute mentale e sull’umore, il 66% sulla capacità di concentrazione e di rendimento lavorativo, il 58% sul benessere fisico generale, e una donna su tre (33%) segnala effetti negativi sulle relazioni familiari e sociali.
“L’insonnia cronica è una condizione clinica vera e propria, non un disagio passeggero o un effetto collaterale dello stress”, ha detto Amedeo Soldi, direttore medico di Idorsia Italia. «È importante imparare a distinguere un disturbo temporaneo da una condizione cronica, perché solo attraverso una diagnosi corretta si può intervenire in modo efficace. Dobbiamo aiutare le donne a capire che convivere con la stanchezza non è normale, che è una patologia che impatta sulle 24 ore e, conseguentemente, su tutte le sfere della loro vita”, ha proseguito Soldi. “Restituire dignità al sonno significa restituire salute e qualità della vita e per fare questo serve che l’insonnia cronica sia riconosciuta come una patologia a sé stante”.
Insonnia cronica legata a doppio filo con altre patologie
L’insonnia cronica è dunque molto più di un disturbo passeggero. È una patologia che altera i meccanismi regolatori del sonno, incide sull’equilibrio neurochimico e compromette il funzionamento cognitivo, emotivo e metabolico. La difficoltà maggiore è riconoscere quando l’insonnia, da condizione transitoria, diventa una malattia a sé stante. In questa transizione, spesso impercettibile, si nasconde la cronicità: il disturbo si stabilizza, resiste ai tentativi di compensazione e inizia a influenzare in modo profondo la vita quotidiana.
“La diagnosi di insonnia cronica richiede che le difficoltà di addormentamento, i risvegli notturni o il risveglio precoce si presentino per almeno tre notti alla settimana e per più di tre mesi consecutivi, con un impatto significativo sulla vita diurna”, ha spiegato Matteo Balestrieri, Professore di Psichiatria, Co-Presidente SINPF. “È una condizione molto più comune di quanto si pensi: fino al 10% della popolazione adulta soddisfa i criteri diagnostici”. Come detto, non va vista come un semplice sintomo, ma come una patologia autonoma, con implicazioni importanti per la salute generale.
“Numerosi studi longitudinali hanno mostrato ad esempio che chi soffre di insonnia cronica presenta un rischio aumentato di ipertensione, infarto e mortalità cardiovascolare”, ha proseguito l’esperto. Non solo. “Il legame tra insonnia cronica e salute mentale è bidirezionale, ma spesso l’insonnia precede lo sviluppo di disturbi psichiatrici”. Ad esempio, una metanalisi condotta su oltre 170.000 soggetti e pubblicata su JAMA Psychiatry, nel 2021, “ha mostrato che l’insonnia aumenta di circa 2 volte il rischio di sviluppare un episodio depressivo maggiore nei 5 anni successivi. Allo stesso modo, l’insonnia cronica predice un rischio significativamente aumentato di disturbo d’ansia generalizzato e di disturbo post-traumatico da stress (PTSD)”, ha spiegato ancora Balestrieri.
Da non sottovalutare sono anche le ripercussioni dal punto di vista sociale. Trascurare l’insonnia cronica significa non solo ignorare un problema individuale, ma contribuisce a un onere più ampio per la società. “Dal punto di vista della produttività, – ha precisato il Co-Presidente SINPF – le difficoltà di sonno si associano a maggiore assenteismo, ma soprattutto a ‘presenteismo’, cioè l’essere presenti al lavoro ma meno efficaci, con un aumento dei costi indiretti sia per le aziende sia per i sistemi sanitari. Inoltre, le persone con insonnia cronica utilizzano più frequentemente i servizi sanitari, con maggiori visite, ricorso a farmaci, e spesso co-morbilità associate che ne aumentano il carico”.
Conoscere per riconoscere precocemente
Nel percorso di riconoscimento e trattamento dell’insonnia, il medico di medicina generale ha un ruolo centrale. È lui il primo punto di contatto con la paziente, la figura che può cogliere i segnali precoci e orientare verso un approccio terapeutico adeguato. Egli ha un duplice ruolo egualmente importante. Si configura come parte attiva del processo quale scopritore e anche prescrittore, e come ponte tra il paziente e lo specialista per patologie correlate.
“Il medico di medicina generale è la sentinella più vicina al paziente”, ha spiegato Claudio Mencacci, co-Presidente SINPF. “Spesso è il primo a cui le donne si rivolgono per sintomi vaghi come stanchezza, irritabilità o difficoltà di concentrazione, che in realtà possono nascondere un’insonnia cronica. È fondamentale che il medico sappia riconoscere i segni del disturbo e sappia distinguere le forme transitorie da quelle croniche. Oggi abbiamo strumenti terapeutici efficaci e approcci integrati che consentono di agire in modo mirato, migliorando la qualità della vita delle pazienti. Ma serve anche una comunicazione chiara e continua: solo un dialogo aperto e costante tra medico e paziente permette di costruire fiducia e garantire una gestione efficace”.
Una condizione al femminile
Dietro la maggiore incidenza femminile si intrecciano fattori biologici, psicologici e sociali. Le oscillazioni ormonali nelle diverse fasi della vita – pubertà, gravidanza, post-partum e soprattutto menopausa – alterano i ritmi circadiani e modificano la struttura del sonno. Ma a questo si somma una pressione costante: le donne continuano a sostenere il peso di una duplice responsabilità, professionale e familiare, con una tendenza a mettere le esigenze degli altri prima delle proprie.
“L’insonnia cronica è molto più diffusa tra le donne perché sia sul piano biologico che sul piano sociale presentano un maggior numero di fattori di rischio per sviluppare questa patologia”, ha osservato Emi Bondi, direttrice del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze di Bergamo. “Dal punto di vista biologico, le variazioni ormonali rappresentano un elemento cruciale. Periodi come la gravidanza, il post-partum e soprattutto la menopausa costituiscono momenti di particolare vulnerabilità: gli ormoni sessuali influenzano direttamente i ritmi circadiani e la qualità del sonno, e quando questi livelli fluttuano o diminuiscono, come accade in menopausa, la continuità e la profondità del sonno vengono alterate”, ha spiegato Bondi.
Sul piano psicologico e sociale, poi, “le donne vivono spesso una molteplicità di ruoli, professionali, familiari, di cura, che comportano un carico mentale continuo. L’abitudine a tenere tutto insieme porta molte donne a trascurare i propri bisogni fisiologici di recupero, incluso il sonno, che diventa la prima risorsa a cui si rinuncia. Lo stress cronico e la costante pressione da performance finiscono così per modificare i ritmi di addormentamento e la qualità del riposo notturno”. Altro aspetto da non sottovalutare è la tendenza alla cronicizzazione. “Spesso l’insonnia comincia come un disturbo passeggero, legato a una fase stressante o a un evento di vita, ma in assenza di un intervento mirato si consolida nel tempo, diventando un’abitudine disfunzionale”, ha concluso l’esperta.
Insonnia cronica e patologie neurologiche
Insonnia, ansia e depressione sono fortemente interconnesse; si influenzano reciprocamente e finiscono per alimentarsi a vicenda in un vero e proprio circolo vizioso. Una ricerca condotta da Elma Research per conto di ONDA (Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna), su 122 donne con diagnosi di malattie neurologiche, psichiatriche o reumatologiche, delinea un quadro di grande vulnerabilità. Tre donne su quattro non hanno mai ricevuto una diagnosi formale di insonnia cronica, anche se nel 57% dei casi il disturbo aggrava le preoccupazioni legate alla patologia principale e nel 52% peggiora i sintomi. Il 35% delle intervistate riferisce inoltre difficoltà di aderenza alle terapie, mentre in media trascorrono due anni prima che la paziente decida di parlarne con uno specialista.
“I risultati della nostra ricerca mettono in luce come l’insonnia cronica rappresenti un peso aggiuntivo per chi vive già con una malattia cronica”, ha commentato Sara Carloni per conto di ONDA. “Dormire male amplifica i sintomi, indebolisce le capacità di reazione e accentua il senso di isolamento. È necessario riconoscere l’insonnia cronica come patologia indipendente, con la sua diagnosi e la sua terapia, perché solo così si può migliorare la gestione complessiva delle altre malattie e restituire alle donne una qualità di vita accettabile”.
A complicare ulteriormente la situazione, c’è un pregiudizio radicato che porta spesso a considerare l’insonnia cronica come un effetto collaterale secondario di altri disturbi, piuttosto che come un problema autonomo. Ma questa visione riduttiva rischia di alimentare una spirale di sofferenza sommersa e di sottovalutazione clinica.
“Spesso l’insonnia viene considerata solo un sintomo collaterale di altre patologie, ma in realtà è una condizione autonoma e complessa, che può peggiorare il quadro generale della persona”, ha spiegato Guido Di Sciascio, Presidente SIP e direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Bari. “Quando il sonno manca o è frammentato, tutto l’organismo ne risente: aumenta il rischio di depressione, ansia, deficit di attenzione e irritabilità, ma anche di peggioramento dei sintomi nelle malattie croniche, come quelle neurologiche, psichiatriche e reumatologiche. Nei disturbi dell’umore, per esempio, il sonno diventa un indicatore precoce di ricaduta: riconoscerlo e intervenire tempestivamente può cambiare il decorso clinico. L’insonnia cronica, inoltre, genera un impatto sociale enorme: riduce la produttività, altera le relazioni e logora la qualità della vita. Per questo è essenziale trattarla in modo indipendente, con un approccio integrato che unisca terapia farmacologica e supporto psicologico. Dormire bene non è un lusso, ma la base su cui poggia la salute mentale. Curare il sonno significa curare la persona nella sua interezza”.
Serve un cambio di paradigma nel trattamento
Un altro dato emerso dalla ricerca Idorsia riguarda la gestione terapeutica: il 37% delle donne in menopausa assume sedativi o psicofarmaci per oltre 50 mesi, a testimonianza di quanto la cronicità del disturbo venga spesso affrontata con strategie non risolutive. Ma oggi, l’arrivo di nuove terapie rappresenta un passo avanti importante.
“Oggi l’approccio al trattamento dell’insonnia cronica si fonda su una combinazione di strategie comportamentali e farmacologiche”, ha precisato Balestrieri. “Le linee guida internazionali raccomandano la terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia (CBT-I) come prima scelta: un intervento strutturato che aiuta a modificare abitudini scorrette e convinzioni disfunzionali legate al sonno. Tuttavia, quando questo non è sufficiente o non è accessibile, la farmacologia offre oggi soluzioni di nuova generazione, più rispettose dei meccanismi fisiologici del sonno, che agiscono regolando i neuropeptidi della veglia invece di forzare il sonno attraverso la sedazione. In questo modo, il riposo recupera la sua architettura naturale e la persona ritrova un equilibrio più stabile anche nelle ore diurne. Questi farmaci, insieme a un percorso di consapevolezza e di igiene del sonno, permettono un trattamento efficace e sostenibile nel lungo periodo. L’obiettivo non è solo far dormire, ma restituire un sonno fisiologico, rigenerante, che migliori la qualità della veglia, l’energia, la lucidità e la capacità di affrontare la giornata. Curare l’insonnia cronica significa, in definitiva, restituire alle persone una parte essenziale della loro salute mentale e fisica”.
L’insonnia cronica è dunque una malattia reale e diffusa, che merita attenzione, diagnosi tempestiva e percorsi terapeutici mirati. Restituire alle donne il diritto al riposo significa restituire loro salute, lucidità e benessere: perché non c’è equilibrio possibile senza sonno e non c’è cura efficace senza ascolto.
