Invecchiamento: studiare il pesce pagliaccio per capirne i meccanismi

Il pesce pagliaccio è forse il migliore esempio per capire i meccanismi dell’invecchiamento. Il simpatico pesciolino bianco e rosso, reso celebre dalla Disney con il cartone animato “Alla ricerca di Nemo”, è infatti tra gli animali più longevi che si possono studiare. A rivelarlo è lo studio di un gruppo di ricercatori guidati da Alessandro Cellerino, professore di Fisiologia della Normale di Pisa, in collaborazione con il Leibniz Institut on Aging di Jena, al quale hanno preso parte vari istituti di ricerca tra i quali la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli con Mirko Mutalipassi.

Il lavoro, pubblicato su Bmc Evolutionary Biology, spiega che distribuendo un questionario a tutti gli acquari pubblici in Europa, “i ricercatori hanno scoperto che gli esemplari più vecchi dei pesci pagliaccio, Amphiprion ocellaris, presenti nelle vasche avevano oltre vent’anni ed erano ancora in grado di riprodursi regolarmente, suggerendo che fossero ancora lontani dal termine naturale della loro vita”. A questo punto gli studiosi, afferma la Normale in una nota, “hanno voluto identificare le basi genetiche della loro longevità” e per farlo “hanno sequenziato parte del loro genoma confrontandolo con una specie a essi molto affine, ma che non ha sviluppato simbiosi con gli anemoni di mare: il pesce Chromis viridis, comunemente detto castagnola o damigella”.

Il risultato è stato che nei pesce pagliaccio, le proteine contenute nel mitocondrio (l’organello all’interno della cellula che produce energia) e nel lisosoma (l’organello che si occupa di distruggere le componenti danneggiate della cellula) si sono modificate in maniera significativa durante l’evoluzione. “La scoperta – conclude la Normale – ha importanti implicazioni pratiche perché i pesci pagliaccio sono di piccole dimensioni (8 cm circa) e rappresentano il primo modello animale di longevità che può essere facilmente mantenuto e osservato in laboratorio, aprendo la strada a un approccio completamente nuovo per identificare i meccanismi attraverso i quali il genoma determina la longevità”.

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