
La contaminazione di microplastiche, è stato spiegato a Vienna illustrando i risultati della ricerca alla conferenza internazionale dell’European Geosciences Union, “è ormai diffusa e documentata in molte regioni della Terra ed è ritenuta una tra le più impattanti sull’attività umana: ritrovata persino nella Fossa delle Marianne”, nell’Oceano Pacifico, “ha una forte persistenza nell’ambiente, può entrare nella catena alimentare e ha un forte impatto sugli ecosistemi. Nonostante l’ampia diffusione” di particelle di poliestere, poliammide, polietilene e polipropilene, “non erano stati ancora condotti studi sulla contaminazione da microplastica nelle aree di alta montagna”. E’ noto, tuttavia, che i ghiacciai non sono ambienti incontaminati ma “immagazzinano diversi inquinanti di origine antropica rilasciati nell’atmosfera”.
I ricercatori della Statale spiegano che “sebbene non sia affatto sorprendente aver riscontrato microplastiche nel sedimento sopraglaciale, estrapolando questi dati, pur con le dovute cautele, abbiamo stimato che la lingua del Ghiacciaio dei Forni potrebbe contenere da 131 a 162 milioni di particelle di plastica”. Queste particelle potrebbero essere locali, cioè provenire da abbigliamento e attrezzatura di alpinisti ed escursionisti che frequentano il ghiacciaio oppure avere una origine diffusa, cioè possono essere state trasportate da masse d’aria” e quindi essere “di difficile localizzazione”.
Una delle sfide più grandi, spiega l’università statale, “è stata campionare il sedimento sul ghiacciaio evitando la contaminazione di particelle di plastica che costituiscono la quasi totalità dei materiali tecnici dell’abbigliamento di montagna: per farlo i ricercatori hanno indossato tessuti di cotone al 100% e usato zoccoli di legno per le calzature”.
