Il Test del Dna predittivo non spaventa

dnaUn pericolo di ammalarsi che è percepito come ”lontano” e ”potenziale”, e che quindi non scatena ”una immediata reazione emozionale di allarme”. E’ per questo che i moderni test del Dna predittivi, che evidenziano il rischio di sviluppare malattie come i tumori, non inducono, nella maggioranza dei casi, a cambiare lo stile di vita. A chiarire il perché di una risposta apparentemente ‘illogica’ ad un esame clinico dal responso preoccupante sono il presidente della Società italiana di psichiatria (Sip), Claudio Mencacci, e la psicoterapeuta Paola Vinciguerra, presidente dell’Associazione Europea Disturbi da attacchi di Panico (Eurodap).

I test del Dna predittivi del rischio di malattie sono in crescita ma, allo stesso tempo – come evidenzia uno studio pubblicato sul British medical journal – quasi nessuno smette di fumare o riduce ad esempio il consumo di alcol pur avendo saputo di essere predisposto a sviluppare una tale patologia. La ragione, spiega la specialista, ”è che l’informazione che ci viene data dal test del Dna è di tipo razionale e non è dunque accompagnata automaticamente da una risposta emotiva di allarme, a meno che non si tratti di soggetti particolarmente ansiosi ed emotivi. Razionalmente, cioè, l’esame ci comunica che siamo a rischio, ma la malattia è al momento lontana e solo potenziale, ed il pericolo non si avverte come immediato e concreto”. E’ un po’ come nel caso del bimbo al quale si dice di non avvicinarsi al fuoco: ”Fino a quando il piccolo non si brucerà, provando dunque le emozioni di dolore e paura – afferma Vinciguerra – avrà sempre l’inclinazione a seguire la propria curiosità avvicinandosi al fuoco, così come l’adulto avrà molta difficoltà ad abbandonare un’abitudine, come ad esempio il fumo, che percepisce come pericolosa ma non nell’immediato”.

Proprio il fumo, come tutte le dipendenze, sottolinea inoltre la psicoterapeuta, ”ha origine dal cervello ed è per questo motivo che non è così facile ed immediato smettere”. L’approccio, chiarisce Mencacci, ”è un po’ quello del tutti lo sanno ma nessuno ci crede, nel senso che il fatto di indicare un pericolo non necessariamente induce a mettere in atto stili di vita che ci proteggono dalle malattie”. Questo, rileva, ”anche perché spesso si innesca un meccanismo di negazione che ci induce a pensare che il pericolo reale riguardi più gli altri che noi stessi”. Insomma, ”perché le informazioni scientifiche possano portare ad un reale cambiamento dei comportamenti quotidiani è necessario del tempo. Tuttavia – conclude il presidente Sip – ciò non deve farci abbassare la guardia, dal momento che abbiamo evidenze di come le campagne di prevenzione sul lungo termine, da quelle per gli screening di prevenzione contro il tumore al seno al divieto di fumo nei luoghi pubblici, possano portare a risultati sorprendenti”.

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