IBD, sempre più evidente la connessione psiche – intestino

(Reuters Health) – Chi soffre di sindrome dell’intestino irritabile, malattia di Crohn e altre malattie digestive dovrebbe porre al cervello la stessa attenzione che dedica all’apparato gastrointestinale. È il consiglio di un gruppo di ricercatori, guidati da Laurie Keefer, della Icahn School of Medicine al Mount Sinai di New York, che in un articolo pubblicato su Gastroenterology evidenzia come le malattie digestive croniche siano da prendere nel loro contesto psicosociale e come sia importante ricorrere alla psicoterapia nella gestione delle malattie gastrointestinali.

La premessa
La terapia cognitivo-comportamentale e l’ipnosi gastro-orientata, in particolare, hanno come target il dolore addominale, l’ipersensibilità viscerale e la motilità gastrica. Queste terapie devono essere somministrate da specialisti in psicogastroenterologia, ma i gastroenterologi hanno comunque un ruolo importante.A questo scopo Keefer e colleghi hanno chiesto ai gastroenterologi di valutare di routine sintomi correlati alla qualità della vita e all’ansia, dovuti ai problemi gastrointestinali, e le alterazioni a livello funzionale legate ai problemi digestivi. Una volta esaminati i dati, i ricercatori americani hanno consigliato ai gastroenterologi di informare i pazienti sulle implicazioni a livello psicologico delle malattie gastrointestinali, sull’importanza del coinvolgimento di uno psicologo, e sulle caratterisitiche delle psicoterapie più efficaci.

Un aiuto dal web
Inoltre, oggi “ci sono nuovi modi per ricevere un supporto psicogastroenterologico, tra cui la telemedicina, le terapie sul web o digitali, che potrebbero colmare il divario per i pazienti che cercano questi servizi”,  spiega Keefer, secondo la quale, “senza la raccomandazione da parte di un gastroenterologo, molti pazienti non ricevono assistenza a livello psicologico, o la ricevono troppo tardi”.

Un rapporto bidirezionale?
Mentre la malattia infiammatoria intestinale è associata a disturbi dell’umore, non si ancora sa se l’interazione è bidirezionale, ovvero se i disturbi dell’umore contribuiscono alla progressione della malattia infiammatoria. In un articolo correlato, pubblicato sempre da Gastroenterology, David Gracie e colleghi, del Leeds Gastroenterology Institute, nel Regno Unito, hanno condotto uno studio prospettico su 405 adulti con malattia di Crohn o colite ulcerosa. Su questi pazienti, i ricercatori hanno rilevatro il grado di malattia infiammatoria intestinale, lo stato di ansia e depressione all’inizio e nel periodo di follow-up, durato almeno due anni. Così, Gracie e colleghi sarebbero giunti alla conclusione dell’effetiva bidriezionalità dell’attività della malattia infiammatoria e dei disturbi psicologici”. Per questo, secondo gli autori, “i pazienti con malattia infiammatoria intestinale dovrebbero essere monitorati anche per il benessere psicologico”

Fonte: Gastroenterology
Megan Brooks
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

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