Hiv: il futuro (prossimo) è una vita normale

Vivere con l’Hiv si può; vivere non convivere. Sì perché il termine da usare è proprio vivere. I pazienti con Hiv oggi hanno la possibilità di condurre una vita equiparabile a quella di chi è siero negativo e questo grazie alle nuove terapie. In 30 si sono fatti passi da gigante; dall’incurabilità della malattia si è passati a molti farmaci da assumere, fino ad arrivare alla monoterapia giornaliera per approdare in un futuro non così lontano alla somministrazione mensile.

A pochi giorni dalla chiusura dell’annuale CROI (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections) di Seattle, e all’apertura del “PROs (Patients Reported Outcomes), un’opportunità per guadagnare in salute globale” tante sono le novità che vanno tutte nella stessa direzione: la cura funzionale. “Nel panorama attuale ci sono circa 25 farmaci per la cura dell’Hiv, ma ne servono di nuovi”, ha dichiarato Massimo Andreoni, Direttore U.O.C. Malattie Infettive e Day Hospital Dipartimento di Medicina del Policlinico Tor Vergata di Roma. “La prospettiva oggi è quella dei farmaci cosiddetti long acting cioè che possano durare nel tempo, che garantiscano al meglio l’aderenza alla terapia e che possano essere somministrati una volta al mese o anche una volta ogni tre mesi”, ha proseguito Andreoni.

Proprio dall’innovazione continua di Gilead Science, nasce la prima terapia a base di TAF per il trattamento di adulti e adolescenti infetti da virus dell’immunodeficienza umana 1 (HIV-1), contenente i principi attivi elvitegravir, cobicistat, emtricitanina e tenofovir alafenamide.

“È un importante rinnovamento nella classe degli inibitori nucleosidici/nucleotidici della trascrittasi inversa (NRTI), la classe storica per eccellenza in terapia antiretrovirale”, ha sottolineato Andrea Antinori, Direttore U.O.C. Immunodeficienze Virali, Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, IRCCS, Roma. “In una classe per anni dominata dal tenofovir disoproxil fumarato (TDF), l’arrivo del tenofovir alafenamide (TAF), nuovo pro-farmaco di tenofovir comporta una superiore concentrazione intracellulare (nei linfociti infettati dal virus ad esempio) e più bassa concentrazione extracellulare, con una conseguente significativa riduzione delle principali tossicità d’organo che entrano prepotentemente anche nell’ottica dell’invecchiamento del paziente (rene, osso) legate alla esposizione a TDF”, ha proseguito.

“Eguale efficacia virologica, minore tossicità, minore insufficienza renale, minore proteinuria e minore osteoporosi, e quindi superiore efficacia clinica per TAF rispetto a TDF. Un significativo passo in avanti per terapie più tollerabili, più facili da assumere, più efficaci e durature in una logica di esposizione alla terapia long-life. Oggi è disponibile in singola compressa e attualmente all’Ospedale Spallanzani di Roma abbiamo 100 pazienti in cura con TAF”, ha concluso Antinori.

Si tratta quindi solo dell’ultima conquista che avvicina ancora di più il traguardo di una vita ‘con’, sempre più equiparabile a quella ‘senza’, Hiv. Sulla “long life”, infatti, delle persone con Hiv si concentrano le sfide di tutta la comunità scientifica e delle Associazioni di pazienti. Le persone con Hiv oggi vivono più a lungo e sono quindi esposti a un maggior rischio di sviluppare delle patologie che non sono legate solo alla loro malattia. “Queste comorbidità nei sieropositivi si manifestano prima rispetto al corrispondente sieronegativo di pari età”, ha precisato Andreoni.

L’attenzione globale però deve rivolgersi anche a porre al centro il paziente. In questo senso uno strumento utile è rappresentato proprio dai Patient Reported Outcomes su cui oggi si apre un convegno dedicato. “Cosa mi aspetto dalla vita? Beh, questo è un interrogativo che, oggi, le persone con Hiv possono rivolgersi al pari delle altre. Ecco perché è importante promuovere ogni nuovo strumento utile a calibrare al meglio il percorso di cura, come ad esempio l’utilizzo dei Patient Reported Outcomes nella pratica clinica”, ha affermato Simone Marcotullio, Co-chair dell’incontro. “I Patient Reported Outcomes possono davvero essere lo strumento operativo per un approccio proattivo e preventivo per la salute globale della persona”.

La misurazione di aspetti della vita del paziente come il benessere fisico e psicologico, l’aderenza, i sintomi, ecc.  riportati dal paziente stesso senza intermediazione del medico o di altre figure, si è rivelata estremamente utile nella gestione clinica dell’infezione da Hiv. Come ha spiegato Antonella Cingolani, Co-chair dell’incontro e Dirigente Medico e Ricercatore Universitario presso l’Università Cattolica S. Cuore, Fondazione Policlinico A. Gemelli, “è dimostrato che sintomi riportati dai pazienti siano più strettamente correlati con misure di qualità della vita rispetto a quanto riportato dal medico. Inoltre più elevati livelli di sintomatologia riportati dai pazienti, o dubbi riguardo a possibili effetti collaterali, sono associati a più bassi livelli di aderenza alla terapia e quindi ad un rischio aumentato di fallimento terapeutico e di progressione della malattia e a un rischio aumentato di interruzione del rapporto di fiducia con il proprio medico curante”.

Innovazione scientifica e componente sociale però non sembrano procedere di pari passo. “Le condizioni sociali delle persone con HIV sono per molti aspetti rimaste quelle di 20 anni fa. Il timore di essere rifiutati, discriminati e trattati diversamente costringe tante persone con Hiv a vivere nell’ombra. E questo ha delle conseguenze inevitabili in termini di accesso al test e alle terapie. Abbiamo bisogno di interventi che affrontino la complessità del benessere delle persone con Hiv, cercando di smantellare il muro di sospetto che le tiene separate da chi si considera sieronegativo”, ha concluso Giulio Maria Corbelli, Vice Presidente Plus Onlus.

 

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