
Cereali e latte contaminati
Il Paese ex-sovietico sta infatti vivendo un periodo di difficoltà economiche, aggravate da un’insurrezione filo-russa nei territori orientali, mentre Russia e Bielorussia stanno anche vivendo pressioni finanziarie. Il report dimostra che in alcuni casi, come per esempio nei cereali, i livelli di radiazioni nelle aree contaminate (dove è stato stimato che vivano 5 milioni di persone) sono in realtà cresciute. “Questa contaminazione li accompagnerà nei decenni a venire, così come i suoi impatti sulla salute. Migliaia di bambini, anche quelli nati 30 anni dopo Chernobyl, stanno ancora bevendo latte contaminato dalle radiazioni”. Al momento né il ministro russo della Salute né quello ucraino hanno commentato il documento di Greenpeace all’agenzia britannica. L’associazione ambientalista sostiene anche di aver condotto test nelle aree contaminate dal disastro di Fukushima (Giappone) nel 2011, quando uno tsunami danneggiò pesantemente un impianto nucleare causando una massiccia perdita di radiazioni. Così come già accaduto per Chernobyl, le foreste attorno al sito dove è avvenuto l’incidente si sono trasformate in un deposito radioattivo che non può essere ripulito. “Metteranno a rischio la popolazione per i decenni o addirittura i secoli a venire”, afferma il report di Greenpeace. L’associazione aggiunge che gli sforzi del Governo giapponese per la decontaminazione sono stati finora inadeguati.
L’esposizione a lungo termine alle radiazioni può condurre a gravi malattie, ricorda l’agenzia britannica. I medici delle aree più colpite da Chernobyl hanno da tempo segnalato un’impennata nei tassi di alcuni tipi di cancro. Halina Chmulevych, una madre single di due bimbi che vive in un piccolo paese nella regione di Rivne in Ucraina, è citata nel rapporto perché ha affermato che a volte non ha avuto altra scelta che nutrire i figli con cibo contaminato. “Abbiamo latte e pane cotto da noi stessi che ha le radiazioni – avrebbe spiegato la donna – Tutto qui ha le radiazioni. Certamente questo mi preoccupa, ma che cosa posso fare?”
Fonte: Greenpeace
Andrew Osborn
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

 
                                         
                                 
                                 
                                