Disturbo depressivo maggiore: screening universale degli studenti individua più casi dell’osservazione dei sintomi

(Reuters Health) – Uno screening universale degli studenti delle scuole superiori aiuterebbe a individuare, con una probabilità sei volte più alta rispetto alla sola osservazione dei sintomi, i ragazzi che soffrono di disturbo depressivo maggiore. È quanto ha osservato uno studio pubblicato da JAMA Network Open che ha raccolto dati relativi a circa 13mila studenti. La ricerca è stata guidata da Deepa Sekhar, del Penn State College of Medicine di Hershey (USA), secondo il quale gli studenti individuati avevano anche due volte più probabilità di iniziare un trattamento rispetto ai coetanei che non ricevevano lo screening.

I ricercatori, dopo aver ottenuto il consenso dai genitori dei ragazzi, hanno sottoposto i partecipanti al Patient Health Questionnaire-9 (PHQ-9) per lo screening universale. Il questionario è stato somministrato online durante l’orario scolastico e gli studenti che davano un risultato positivo sono stati poi indirizzati a un programma di assistenza come coloro che vengono individuati attraverso i sintomi.

Dai risultati è emerso che tra gli adolescenti del gruppo che partecipava allo screening universale c’era una probabilità 5,92 volte più elevata di essere identificati con sintomi, una probabilità 3,0 volte più alta che il programma di assistenza confermasse le esigenze di follow-up e una probabilità di 2,07 volte maggiore di iniziare un trattamento.

“La depressione è in aumento tra gli adolescenti, in particolare da oltre un decennio”, sottolinea Kara Bagot, dell’Icahan School of Medicine del Mount Sinai di New York, secondo la quale lo screening universale “è un modo per individuare bambini a rischio con un costo relativamente basso e può essere fatto con popolazioni diverse e da persone non formate”. Inoltre, con questa modalità si possono ‘scovare’ i ragazzi a rischio che non sono facili da individuare, come quelli “tranquilli in classe, che vanno bene a scuola e che non fanno scalpore”, conclude l’esperta.

Fonte: JAMA Network Open
Linda Carroll
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

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