
La prima ricerca ha coinvolto 63 medici di base all’ultimo anno di formazione, ai quali sono state affidate sei diverse descrizioni scritte di sintomi di malattie, tre considerate complesse e tre più semplici. Le sei descrizioni erano in due versioni diverse, la prima neutra e la seconda in cui il paziente appariva “difficile”. I risultati hanno mostrato che nei casi complessi, i medici avevano un 42% in più di probabilità di sbagliare in un paziente “difficile” (aggressivo o che metteva in discussione una diagnosi) rispetto ad un altro con gli stessi sintomi ma dal comportamento neutro. Per i casi più semplici il tasso di diagnosi sbagliate scendeva a 6%.
Un altro esperimento ha coinvolto 74 medici ospedalieri in formazione a cui è stato chiesto di fare diagnosi in otto scenari diversi. Lo studio questa volta ha previsto anche atteggiamenti come quello di un paziente che minacciava il medico e un altro che lo accusava di discriminazione. In questo caso l’accuratezza diagnostica risultava di un quinto più bassa nei pazienti problematici, ai cui casi i medici non sembravano dedicare più tempo che agli altri.
