Dalla mappa del genoma umano le armi anti-Covid  

È in corso una “battaglia mondiale” come quella che venti anni fa aveva preceduto la pubblicazione della prima mappa del genoma umano: decine di gruppi di ricerca di tutto il mondo lavoravano senza sosta per pubblicare le sequenze del Dna e per condividerle, ma non tutti seguivano lo stesso ritmo e allora si susseguivano le esortazioni a fare in fretta, senza tenere i dati al chiuso dei laboratori. Oggi sta succedendo qualcosa di simile nella corsa alla pubblicazione delle sequenze genetiche che permettono di ricostruire la diffusione del virus SarsCoV2 nel mondo e, soprattutto, quella delle sue varianti.

Come venti anni fa, non c’è tempo per trattenere le sequenze genetiche ottenute, magari per analizzarle più in dettaglio prima di renderle pubbliche. Vanno condivise subito, scrivono sul sito della rivista Nature i ricercatori impegnati a rintracciare ogni mutazione del virus responsabile della pandemia di Covid-19.    “E’ una battaglia mondiale come quella di venti anni fa, quando era vitale condividere i dati che sarebbero andati a comporre la mappa del genoma umano”, osserva il genetista Massimo Zollo, dell’Università Federico II di Napoli e coordinatore della Task force Covid-19 del Ceinge-Biotecnologie avanzate, che è stato fra i 500 firmatari della mappa del genoma umano pubblicata online dalla rivista Nature.

Da allora quella mappa ha permesso di fare progressi in tutti i settori della ricerca biomedica e ha aperto la via alla cura di molte malattie, compresa l’infezione da virus SarsCoV2. Come è accaduto in passato per i virus dell’influenza, anche per i coronavirus le mappe genetiche vengono condivise sulle grandi banche dati internazionali, come GenBank e Gisaid. Dal gennaio 2020 sono state messe online più di 450.000 sequenze genetiche.

“Si tratta di iniziative bene organizzate, ma – rileva Zollo riferendosi alle banche dati – se alcuni gruppi di ricerca sono in grado di generare subito la struttura del virus e di identificarne le mutazioni, altri gruppi non sono altrettanto efficienti”. A queste disparità si aggiunge un accesso non immediato alle banche dati.    “Condividere i dati può salvare vite”, scrivono su Science i ricercatori che aprono le celebrazioni per i venti anni dalla della mappa del genoma umano che il 12 febbraio 2001 ha permesso di aprire il grande libro della vita. Era stato l’inizio di un cambiamento epocale, che ha permesso di raggiungere traguardi importanti, come la comprensione delle cause di molte malattie, e che sta aprendo la strada a nuove trasformazioni, sia scientifiche sia sociali. La medicina di precisione è fra le prime, accanto alla ricerca si base sui meccanismi che regolano il codice della vita. Una delle ricadute più ricche di significato è stata la dimostrazione di come l’idea di razza non abbia alcun riscontro nella genetica umana.

È appena l’inizio. Altri cambiamenti sono destinati ad arrivare nei prossimi decenni, aprendo nuovi problemi, primo fra tutti quello della privacy posto dalla conservazione dei genomi di milioni di persone in grandi banche dati. Se da un lato sono possibili applicazioni al servizio della giustizia, dalle indagini sulla scena di un delitto alla medicina forense e ai controlli negli aeroporti, si pone fin da ora il problema di regolamentare l’accesso ai dati per evitare usi impropri e pericolosi.

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