
Lo studio e i risultati
Sulla base di questi presupposti Gregory Marcus della University of California di San Francisco e colleghi hanno arruolato 18 pazienti in attesa di eseguire l’ablazione con tachicardia ventricolare (VT) o con PVC. L’età media era di 58 anni; la metà erano uomini, la metà aveva una storia di ipertensione e la maggior parte non aveva una storia clinica di malattie cardiache o di insufficienza cardiaca. In seguito 12 pazienti sono stati sottoposti ad ablazione ventricolare (due per VT e 10 per PVC), e i risultati sono stati confrontati con quelli relativi a 6 pazienti di controllo che sono stati sottoposti ad ablazione ventricolare destra (RV) (uno per VT e cinque per PVC). Inoltre, ciascun paziente entro una settimana prima e dopo la procedura veniva sottoposto a risonanza magnetica cerebrale. Si è così evidenziato che 7 pazienti (58%) hanno avuto un totale di 16 emboli cerebrali dopo l’ablazione LV, rispetto a nessuno, dopo l’ablazione RV (p = 0,04). Inoltre, 7 su 11 pazienti (63%) gestiti con un approccio retrogrado al ventricolo sinistro hanno sviluppato almeno una nuova lesione cerebrale.
Le conclusioni
Marcus ha sottolineato che le prove di lesioni cerebrali da loro evidenziate dopo le procedure di ablazione erano evidenti nella maggior parte dei pazienti. E ha aggiunto che la risonanza magnetica non era stata utilizzata negli studi precedenti. “Dato che nessuna lesione cerebrale è stata evidenziata nelle procedure di ablazione del ventricolo di destra – ha aggiunto Marcus – sospettiamo che l’alto tasso di nuove lesioni cerebrali rilevati in questi pazienti possa essere correlato all’approccio chirurgico; in particolare, la pratica standard è di procedere all’ablazione con catetere attraverso l’arteria femorale, l’aorta, attorno all’arco aortico e attraverso la valvola aortica. Ma è possibile che così facendo invece si stacchino dei detriti di emboli dalla parete del vaso sanguigno dove passa il catetere o dalla valvola cardiaca, che prima s’interpongono nel percorso del catetere e poi raggiungono il cervello”. “Ci sono altre spiegazioni possibili”, ha continuato Marcus, “come ad esempio la formazione di coaguli di sangue durante la procedura, che poi arrivano al cervello. Tuttavia, il rischio di formazione di coaguli di sangue è ben noto e probabilmente mitigato dalla diluizione del sangue con gli agenti che sono normalmente somministrati durante queste procedure “.
Fonte: Circulation 2017
Marilynn Larkin
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular science)
