
Il punto di partenza sono state due famiglie di cellule staminali: quelle che danno origine alla placenta e quelle da cui si forma l’organismo. In provetta le cellule hanno formato una struttura simile a quella di un embrione nella fase iniziale dello sviluppo chiamata blastocisti, in cui si forma la sacca che racchiude le cellule staminali.
L’embrione artificiale che ha raggiunto una struttura analoga è stato chiamato ‘blastoide‘ ed è una sferetta fatta di sottili strati. Non si può escludere che in un futuro lontano questa sia la via per ottenere esseri viventi artificiali, ma per ora è un “laboratorio” senza precedenti per studiare le fasi iniziali dello sviluppo dell’embrione, quelle in cui si forma la placenta e avviene l’impianto nell’utero e che, in molti casi, sono all’origine del fallimento di molte gravidanze.
La portata rivoluzionaria del primo embrione artificiale sta soprattutto nel poter comprendere i segreti della gravidanza e in particolare il ruolo dell’organo più prezioso e fondamentale per lo sviluppo di un essere vivente: la placenta. A dirlo è il genetista Giuseppe Novelli, rettore dell’università di Roma Tor Vergata
“L’esperimento – ha detto – conferma la natura totipotente della cellule staminali embrionali e per la prima volta studia da vicino un organo straordinariamente importante della riproduzione, ossia la placenta”. E’ un organo “straordinario, attivo da 300 milioni di anni e che permette il dialogo tra madre e feto, composto da cellule specializzate nel fare proprio questo e delle quali sapevamo poco o niente”.
La struttura simile all’embrione ottenuta in laboratorio, ha aggiunto, “serve a capire come le cellule in questa fase dello sviluppo dialogano tra loro. Capire questo è importante perché permette di comprendere i meccanismi dell’infertilità che nasce da un difetto nell’impianto dell’embrione. Ad esempio la placenta previa è un problema in 5 gravidanze su su 100, il distacco della placenta riguarda l’1% delle gravidanze e un difetto di vascolarizzazione del quale non si sa nulla è all’origine di molti parti prematuri”.
Per Novelli l’autentica protagonista della ricerca pubblicata su Nature è quindi la placenta, ossia la struttura embrionale che la genera, chiamata trofoblasto: l’obiettivo è “capire come si forma il trofoblasto, come dialoga con l’utero e quali geni si attivano”. Una placenta ottenuta con le cellule staminali, infine, secondo Novelli non potrà mai portare a un embrione perché deve contenere informazioni da entrambi i sessi: “è per questo – ha concluso – che gli pseudo-embrioni non vanno avanti”.
