Covid. Dagli antivirali al plasma: le 30 sperimentazioni autorizzate da Aifa

Come è stato detto e ripetuto, al momento non esistono farmaci per il Covid-19. Le molecole attualmente testate negli studi clinici o somministrate ad uso compassionevole, per trattare i malati, in particolare modo i pazienti gravi, sono farmaci cosiddetti “riposizionati”, che in passato erano stati messi a punto (e in alcuni casi approvati ed usati) per altre patologie.

Si tratta principalmente di antivirali, che dovrebbero contrastare l’azione di Sars-Cov-2, di anti-infiammatori, che hanno l’obiettivo di placare la reazione eccessiva del sistema immunitario in risposta all’infezione e di anticoagulanti, che tendono ad evitare gli effetti trombociti causati dall’infiammazione.

Sono tutti trattamenti, come già ribadito più volte, che vanno testati in ampi studi clinici randomizzati per poterne valutare la sicurezza e l’efficacia nei pazienti. L’11 marzo è stato approvato il primo studio di questo tipo in Italia, per valutare gli effetti sui pazienti del farmaco antivirale remdesivir. Da allora, in soli due mesi, l’Aifa ha approvato ben 30 sperimentazioni cliniche, condotte in tutta Italia, che analizzano in totale l’efficacia e la sicurezza di 16 molecole diverse. Quali sono questi farmaci e cosa ci si aspetta dai trial in corso?

Gli antivirali
I trial clinici condotti nel Paese sugli antivirali sono quattro. Uno valuta l’uso di favipiravir, il farmaco antinfluenzale giapponese che a marzo è stato oggetto di un ampio dibattito per quanto riguarda la sua efficacia sui pazienti Covid. Questo studio, in cui il farmaco viene testato sui pazienti gravi, viene condotto interamente in Italia, prevede l’arruolamento di 100 pazienti e dovrebbe concludersi a luglio.

A marzo Gilead ha dato poi il via a due studi su remdesivir, uno valuta il farmaco nei pazienti affetti da Covid moderata, l’altro nei pazienti da Covid grave. Gli studi sono ampi e condotti su scala internazionale, l’intenzione è di reclutare quasi 8.000 pazienti. L’Italia fa parte dei circa 200 Paesi coinvolti, con una quindicina di centri partecipanti allo studio. I risultati sarebbero attesi entro maggio, nel frattempo i primi dati di altri studi condotti negli Stati Uniti e in Cina su questo farmaco sembrano promettenti.

In questi casi si interviene su pazienti affetti da una forma moderata o grave, ospedalizzati. È stato approvato il 7 maggio uno studio che valuta invece l’efficacia della somministrazione precoce, orale, a domicilio, di diversi antivirali: darunavir-cobicistat, lopinavir-ritonavir, favipiravir e idrossiclorochina. L’intento è capire se un intervento precoce possa prevenire la progressione dell’infezione verso forme cliniche gravi o critiche con necessità di ricorso a cure ospedaliere o all’intubazione. Il trial, condotto in diversi centri italiani, coinvolgerà tra i 175 e i 435 pazienti e finirà ad agosto.

L’Italia, partecipa poi, insieme ad altri 100 e più Paesi in tutto il mondo, allo studio Solidarity, promosso dall’Oms, con una procedura facilitata per valutare i risultati dei trattamenti con remdesivir; lopinavir-ritonavir; lopinavir-ritonavir in combinazione con l’interferone beta1a e clorochina o idrossiclorochina.

Antinfiammatori
Molti studi, ben 15, si concentrano sui farmaci somministrati a scopo antinfiammatorio, per placare l’eccessiva reazione immunitaria che nei casi gravi danneggia l’organismo stesso.

Anticorpi…
Nella maggior parte dei casi le molecole testate sono anticorpi monoclonali diretti contro le citochine. Sono in corso: uno studio su canakinumab, anticorpo monoclonale anti-interleuchina-1 beta (IL-1 β); tre studi su sarilumab, anticorpo monoclonale anti-interleuchina-6 (IL-6); tre studi su tocilizumab, attivo contro il recettore dell’IL-6; uno su emapalumab, anticorpo monoclonale anti-interferone gamma (IFNγ).
Di recente è stato approvato uno studio che valuta l’efficacia dell’anticorpo monoclonale mavrilimumab, diretto contro la subunità alfa del recettore per il fattore stimolante le colonie granulocitarie-macrofagiche (GM-CSF). Il farmaco, si legge sul sito dell’Aifa, non è ancora stato autorizzato, ma è in corso di studio per il trattamento dell’artrite reumatoide. È in corso anche un un trial che valuta efficacia e sicurezza di pamrevlumab, un anticorpo monoclonale ricombinante, non ancora autorizzato, diretto contro il connective tissue growth factor, per contrastare l’infiammazione dell’interstizio provocata dal virus che, se persistente, può portare alla formazione di tessuto cicatriziale (fibrosi) e ad una polmonite interstiziale grave.

Il 1 maggio è stato approvato il trial randomizzato Ammuravid, coordinato dagli atenei di Verona e Milano e promosso dalla Società italiana di Malattie infettive e tropicali. Coinvolge 27 centri italiani e valuta l’efficacia di diverse immunoterapie:  tocilizumab, sarilumab, siltuximab, canakinumab, baricitinib e metilprednisolone, nel prevenire il peggioramento della funzione respiratoria in pazienti con COVID moderata. È uno studio a sette bracci che dovrebbe coinvolgere in totale 350 pazienti.

…e non solo
C’è poi la colchicina. Un alcaloide utilizzato prevalentemente per trattare e prevenire gli attacchi di gotta e in generale per ridurre l’infiammazione. Nonostante il fatto che il meccanismo d’azione della molecola sia al momento sconosciuto, questa viene attualmente testata in due studi clinici approvati dall’Aifa nei pazienti affetti da Covid, che prevedono il reclutamento, in totale, di circa 600 pazienti.
Sempre per contrastare gli effetti dell’infiammazione, è stato dato il via ad uno studio su una small molecule, baricitinib e uno, rivolto ai pazienti più gravi, sulla molecola reparixin che inibisce l’azione dell’interleuchina-8, associata al processo di infiammazione a carico dei polmoni durante l’infezione da virus Sars-Cov2 .

La maggior parte di questi studi si rivolge a pazienti in condizioni gravi, con l’obiettivo di migliorare la funzione respiratoria ed evitare di arrivare alla ventilazione meccanica, mentre alcuni cercano di prevenire il peggioramento da una condizione moderata ad una forma severa di Covid-19. Solo uno studio, uno di quelli su tocilizumab, valuta la differenza tra la somministrazione precoce dell’anticorpo e dopo l’aggravamento delle condizioni del paziente.  La maggior parte degli studi coinvolge più centri, e, in totale, secondo le previsioni, dovrebbero essere arruolati  oltre 4.000 pazienti

Clorochina e idrossiclorochina
Ci sono poi dei farmaci che potrebbero avere sia una funzione antivirale che antinfiammatoria. Come è stato suggerito per la clorochina e l’idrossiclorochina, due molecole molto simili, con lo stesso meccanismo d’azione. Attualmente in Italia sono in corso cinque studi sull’una o l’altra.

L’aspetto interessante è che con la stessa molecola, si cerca di intervenire in momenti diversi dell’infezione. Sono stati avviati due studi preventivi, che intendono valutare l’efficacia del farmaco nel prevenire l’infezione in contesti sanitari. Uno verrà condotto su circa 1.000 operatori sanitari del San Raffaele di Milano, con l’intenzione di ridurre il numero di soggetti che si ammalano, un altro, internazionale, dovrebbe coinvolgere circa 40.000 partecipanti distribuiti in 50-100 siti diversi.

Due studi invece valuteranno l’efficacia, nel ridurre l’ospedalizzazione, della somministrazione negli stadi precoci della malattia, ai pazienti trattati da casa e ai loro familiari. Dovrebbero coinvolgere più di 2.000 pazienti.

Uno studio piemontese, infine, compara, nei pazienti affetti da malattia lieve/moderata, l’effetto dell’idrossiclorocina rispetto a idrossiclorochina combinata con azitromicina, un macrolide usato in genere come antibiotico che potrebbe avere effetti immunomodulanti.

Di recente è stato approvato uno studio con selinexor, un farmaco testato per i tumori, che sembra avere, in test in vitro e nei modelli animali sia un’azione antivirale che antinfiammatoria che sarà testato su pazienti in condizioni gravi, distribuiti in 40 centri a livello internazionale.

Anticoagulanti
Nei pazienti più gravi, l’attivazione della coagulazione del sangue può portare ad embolia e trombosi. Per questa ragione, in questi casi, è necessaria una profilassi antitrombotica. Sono in corso, in Italia, due studi che valutano l’efficacia della trombofilassi con enoxaparina (un frammento di eparina a basso peso molecolare), e in particolare testano diverse dosi del farmaco. Uno multicentrico di fase 3, verrà condotto su 2.700 soggetti almeno, l’altro condotto al Sant’Orsola di Bologna, inizierà con 50 pazienti.

C’è poi uno studio, condotto al San Raffaele di Milano su 50 pazienti, che valuterà l’efficacia e il profilo di sicurezza del defibrotide, una miscela polidispersa di polideossiribonucleotidi approvata per il trattamento della malattia veno-occlusiva epatica con insufficienza multiorgano. Il farmaco in studi pre-clinici e clinici ha dimostrato azioni profibrinolitiche, antitrombotiche, antinfiammatorie e angio-protettive.

Non stupisce che la maggior parte degli studi sia promossa nelle regioni in cui l’emergenza è ed è stata più grave, in particolare la Lombardia, sempre in testa in termini di ricoverato con sintomi (4.480), pazienti in terapia intensiva (255) e malati in isolamento domiciliare (22.695), dati del 17 maggio. Otto studi sono promossi da case farmaceutiche e in genere condotti in diversi Paesi.

Plasmaferesi
Per concludere, nel corso delle ultime settimane abbiamo sentito parlare molto di plasmaferesi, della possibilità che il plasma dei guariti, contenente una certa quantità di anticorpi contro Sars-Cov-2, potesse essere un’arma efficace contro la malattia.

Il 15 maggio è stato autorizzato dal Comitato Etico dell’INMI “L. Spallanzani” lo studio TSUNAMI (acronimo di TranSfUsion of coNvaleScent plAsma for the treatment of severe pneuMonIa due to SARS.CoV2), uno studio nazionale comparativo randomizzato per valutare l’efficacia e il ruolo del plasma
ottenuto da pazienti convalescenti da Covid-19.

Lo studio, attivato su indicazione del Ministero della Salute, è promosso dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Aifa e vede al momento coinvolti 56 centri, distribuiti in 12 Regioni. Lo studio – si legge in una di Aifa – consentirà di ottenere evidenze scientifiche solide sul ruolo di questa strategia terapeutica e di fornire, in modo univoco, trasparente e in tempi rapidi, informazioni e risposte alle domande sulla sua sicurezza ed efficacia.

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