CoVid-19: un test ematico per predire i casi gravi. Intervista a Oliver McElvaney

E’ stato sviluppato per la prima volta un sistema di punteggio in grado di predire accuratamente quali pazienti potrebbero sviluppare una forma grave di CoVid-19 una volta contratta l’infezione. Lo strumento, denominato scala Dublin-Boston, è stato progettato per consentire ai medici di prendere decisioni maggiormente informate nell’identificazione dei pazienti che potrebbero trarre beneficio da terapie come gli steroidi e dal ricovero in reparti di terapia intensiva. Sinora non è stata disponibile alcuna scala prognostica specifica per il CoVid-19 per guidare il processo decisionale clinico, ma la scala Dublin-Boston può prevedere con precisione quanto risulterà grave l’infezione nel giorno 7 dopo i rilevamenti effettuati sul sangue del paziente per i primi 4 giorni.

Popular Science Italia ha intervistato il dott. Oliver McElvaney del Royal College of Surgeons irlandese, principale autore dello studio che ha sperimentato e convalidato la scala Dublin-Boston.

Potrebbe illustrare brevemente alla comunità medica italiana le caratteristiche della scala Dublin-Boston?

La scala Dublin-Boston si basa su due importanti proteine presenti nel sangue. I livelli di queste proteine sono notoriamente alterati nei pazienti con CoVid-19. La prima proteina, l’IL-6, è proinfiammatoria, mentre la seconda, l’IL-10, è antiinfiammatoria. La scala Dublin-Boston fa uso dei cambiamenti nel rapporto fra IL-6 ed IL-10  per prevedere gli esiti a distanza di una settimana. Si tratta di una scala lineare in 5 punti, che vanno da -2 a +2 (-2. -1, 0, +1, +2). Con l’incremento del punteggio aumenta anche il rischio di esiti negativi incipienti. Un incremento di un punto nella scala è associato ad un incremento di 5,6 volte nel rischio di un significativo deterioramento clinico.

Secondo lei, come potrebbe il nuovo strumento modificare la gestione clinica di un paziente con nuova diagnosi di CoVid-19?

La nostra speranza è che le scale prognostiche come questa possano guidare il processo decisionale clinico indentificando i soggetti a rischio di deterioramento rapido. La scala potrebbe anche aiutare ad identificare i pazienti che potrebbero trarre beneficio da nuove terapie per il CoVid-19 e costituire un mezzo per esaminare la risposta a queste terapie.

Questo strumento richiede molto tempo o una preparazione speciale da parte del medico che effettua la diagnosi?

Uno dei vantaggi della scala consiste nel fatto che non incrementa molto il carico per il medico. Essa può essere calcolata facilmente e si basa su due test ematici effettuati ad una distanza di 4 giorni fra loro.

Come mai la scala si basa sul rapporto IL-6/IL-10 anziché su uno solo di questi valori assoluti?

Questo è uno degli aspetti più importanti del nostro studio. Il livello assoluto di IL-6 varia da persona a persona, e può essere anche influenzato da altre condizioni come l’obesità. Non si tratta del livello assoluto dell’infiammazione presente, ma del bilancio fra molecole proinfiammatorie ed antiinfiammatorie, come se fosse una battaglia fra bene e male. Uno degli elementi interessanti che sono stati dimostrati in questo ed altri studi consiste nel fatto che anche se un paziente non presenta un livello poi così elevato di IL-6 (e di altre molecole che determinano l’infiammazione), se l’entità della sua risposta infiammatoria è sufficiente, il paziente stesso tenderà a rimanere stabile. In ogni caso, se il paziente non monta una risposta antiinfiammatoria adeguata, non si riesce ad ottenere la risoluzione clinica.

In che modo la nuova scala potrebbe migliorare il decorso clinico di un paziente con nuova diagnosi di CoVid-19?

Il riconoscimento precoce di un paziente che è attualmente stabile, ma che di fatto sta per peggiorare, fornisce l’opportunità di intervenire in tempo. Il nostro gruppo sta lavorando duramente per scoprire nuovi metodi per identificare questi pazienti e fornire ai team medici un buon punti di partenza.

(EBioMedicine 2020; 61: 103026)

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