Coltivati i primi ovociti umani in laboratorio. Nuove strade si aprono per la fecondazione?

Trent’anni di lavoro ma alla fine i risultati sono arrivati, e sono anche promettenti. Per la prima volta sono stati coltivati con successo in laboratorio i primi ovociti umani fino a compimento dell’intero processo di maturazione. Pubblicata sulla rivista Molecular Human Reproduction, la ricerca promette di rivoluzionare la fertilità, aprendo a nuove cure, a nuove vie per la maternità e di avere un ruolo importante nella medicina rigenerativa. Coordinata dalla Scuola di Scienze Biologiche dell’Università di Edimburgo, la ricerca è stata condotta in collaborazione con il Royal Infirmary e l’ospedale pediatrico, entrambi di Edimburgo, e con il Centro per la Riproduzione Umana di New York.

“Essere in grado di far sviluppare ovociti umani in laboratorio potrebbe allargare la portata degli attuali trattamenti per la fertilità”, ha rivelato la coordinatrice della ricerca, Evelyn Telfer. Ad esempio, gli ovociti coltivati in provetta potrebbero essere d’aiuto alle donne infertili o che soffrono di menopausa precoce. Possono anche diventare una sorta di ‘banca della fertilità per le donne colpite da un tumore che intendono poter avere dei figli dopo avere affrontato la chemioterapia.

Arrivare a questo risultato è stato tutt’altro che facile: ci sono voluti ben 30 anni di lavoro per riuscire a riprodurre sugli ovociti umani l’esperimento che fino ad oggi aveva avuto successo soltanto sui topi. Quei primi risultati erano stati molto incoraggianti: si erano ottenuti ovociti in grado di generare individui vivi. Promettenti, ma non ancora definitivi, i risultati sugli ovociti umani, coltivati in provetta fino a uno stadio avanzato di sviluppo. Questa volta, invece, gli ovociti umani sono stati coltivati dal primo stadio di sviluppo fino alla piena maturità. Il punto cruciale per il successo è  stato riuscire a mettere a punto il cocktail di sostanze nel quale far sviluppare le cellule primitive prelevate dallo strato più superficiale del tessuto ovarico di donne che avevano affrontato operazioni chirurgiche di routine. Un cocktail che potrebbe senz’altro diventare un brevetto importantissimo.

Il prossimo passo, però, sarà verificare se gli ovociti maturi sono ‘in buona salute’ e, soprattutto, se sono in grado di essere fecondati. Per questo motivo, ha detto la responsabile della ricerca, “adesso stiamo ottimizzando l’insieme di sostanze nelle quali gli ovociti vengono coltivati e stiamo cercando di capire se gli ovociti sono del tutto sani”. La prossima risposta importante riguarda la capacità degli ovociti in provetta di essere fecondati e prima di fare questo passo, ha concluso Telfer, “aspettiamo l’approvazione  delle autorità regolatorie”.

La realizzazione degli ovociti
Il punto di partenza è stato prelevare la parte più esterna del tessuto ovarico. E’ stato ottenuto da donne che si erano sottoposte a interventi chirurgici di routine. La prima tappa è consistita nel prelevate dal tessuto i follicoli primari, ossia cellule molto primitive, che sono state immerse in un liquido di coltura, un cocktail di sostanze capaci di favorire il naturale sviluppo delle cellule.

Nella seconda tappa, le cellule primitive immerse nell’ambiente ricco di nutrienti e fattori di crescita hanno cominciato a crescere fino a duplicare le loro dimensioni. Quindi i follicoli ovarici che contengono gli ovociti sono stati separati.

Il terzo passo è stato rimuovere dal liquido di coltura gli ovociti e le cellule che li circondavano per collocarli su una membrana ricca di nutrienti.

Nella quarta e ultima tappa del processo gli ovociti sono arrivati alla pena maturazione, pronti per essere fecondati. Se tutti gli ingredienti del brodo di coltura sono stati dosati esattamente in modo da favorire lo sviluppo e la maturazione delle cellule, resta da stabilire la natura del tessuto di partenza, ossia di che cosa sia fatto lo strato più esterno del tessuto ovarico ricco di follicoli primari. In proposito, infatti, la comunità scientifica non ha una posizione unanime: soltanto pochissimi pensano che questi follicoli primari possano essere in realtà delle cellule staminali; la tesi dominante è invece che siano ovociti primordiali presenti fin dalla nascita.

Non tutti sono d’accordo. I problemi etici

Le posizioni in merito alle possibili applicazioni degli ovociti umani creati in laboratorio sono contrastanti. Un eventuale loro impiego a fini procreativi sarebbe infatti “condannabile” secondo il presidente vicario del Comitato nazionale di bioetica (Cnb), Lorenzo D’Avack, mentre per ricercatori e scienziati si tratta di un “grande passo in avanti” verso possibili cure sia per la fertilità sia per la medicina rigenerativa.

Netta la posizione del bioeticista D’Avack: “Utilizzare ovociti creati in laboratorio sarebbe una scelta eticamente condannabile e anche scientificamente pericolosa se finalizzata alla procreazione umana”. Se la loro realizzazione “ha invece una finalità legata alla salute, per migliorare le condizioni di pazienti affetti da malattie, allora si tratterebbe – rileva – di una ricerca eticamente accettabile”.

Il punto, chiarisce, è che “se questa ricerca è pensata come un primo passo per poi arrivare alla formazione di embrioni destinati alla nascita, ciò significherebbe accettare il fatto che l’essere umano possa essere creato ‘sotto sperimentazione’. Che garanzia avremmo, infatti, che gli esseri generati con tale tecnica nascano sani? Per verificarlo dovremmo prima farli nascere e dunque dovremmo ‘sperimentare’ sugli stessi esseri umani che la tecnica funzioni e non abbia conseguenze negative. La certezza del risultato utilizzando tali ovociti a fini procreativi è, cioè, impossibile da aversi a priori”.

Diverso il parere del direttore del Laboratorio di Biologia dello sviluppo dell’università di Pavia, Carlo Alberto Redi, secondo il quale “adesso si aprono molte opportunità, che vanno dal laboratorio al letto del paziente”. Il riferimento è proprio alle donne non fertili o che soffrono di menopausa precoce, o ancora alle donne colpite da un tumore che intendono preservare la fertilità dopo avere affrontato la chemioterapia. Importanti, ha proseguito, anche le ricadute nel campo della medicina riproduttiva e della ricerca.

Parla di un “grande successo” anche il genetista Edoardo Boncinelli, poiché “teoricamente, questa tecnica permetterebbe di saltare molti passi nella riproduzione”. Tuttavia, avverte, “dobbiamo sapere che dal momento della scoperta a quello delle possibili applicazioni difficilmente potranno trascorrere meno di 20 anni”.

Dopo 30 anni di studi “la perseveranza dei ricercatori è finalmente stata premiata”, commenta anche Giuseppe Novelli, biologo specializzato in genetica medica e rettore dell’Università di Roma Tor Vergata: “Il prossimo passo – chiarisce – sarà dimostrare che i trattamenti chimici a cui sono stati sottoposti gli ovociti non alterino in alcun modo il successivo sviluppo delle cellule quando vengono fecondate”.

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