
Come riportato dal Journal of the American College of Surgeons, Matsushima e colleghi hanno analizzato i dati relativi a 819 donne in gravidanza (età mediana, 27 anni) sottoposte a colecistectomia dal 2015 al 2017. Di queste, 217 (26,5%) avevano effettuato l’intervento nel primo trimestre, 381 (47,5%) nel secondo e 221 (27,0%) nel terzo.
La colecistite acuta era la diagnosi più comune (46,2%), con gli interventi in elezione che erano più diffusi nel secondo e nel terzo trimestre: mentre nel primo trimestre il 7,8% delle colecistectomie era stato effettuato in elezione, nel secondo e nel terzo trimestre tale percentuale è salita rispettivamente al 21,8% e al 33,2%.
Le analisi multivariate hanno mostrato che, rispetto al secondo trimestre, la colecistectomia nel primo trimestre non si associava a tassi più elevati di complicazioni (odds ratio aggiustato, 0,88). Tuttavia, nel terzo trimestre, l’intervento si correlava a rischi più elevati di parto pretermine (aOR, 7,20) e di complicazioni materne e fetali generali (aOR 2,78), nonché a spese ospedaliere totali più elevate del 21,3%.
“I risultati devono essere interpretati con attenzione, data la natura del disegno dello studio”, osserva Matsushima. “Tuttavia, ritengo che si tratti di un buon punto di partenza per sfidare il pensiero convenzionale secondo cui ‘effettuare un intervento durante il secondo trimestre ha la massima sicurezza’”.
Fonte: Journal of the American College of Surgeons
Marylinn Larkin
(Versione Italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)
