
Lo studio
Cope e colleghi hanno preso in considerazione i risultati del test ODX in un periodo di nove anni eseguiti in diversi istituti negli USA, in maniera tale da sviluppare e validare in modo indipendente un modello per predire il rischio di recidive usando solo parametri clinico-patologici standard. Il modello include cinque variabili: lo stato del recettore degli estrogeni e del recettore del progesterone, che sarebbero inversamente correlati al rischio, e la proteina Ki-67, HER2 e la classificazione di Elston, che sarebbero direttamente correlate al rischio. Grazie al modello, il 52,5% delle donne rientravano in una categoria che poteva essere ad alto o a basso rischio. Per tutti i restanti casi, che rimanevano incerti, i medici, invece, avrebbero dovuto prescrivere il saggio molecolare ODX. L’interfaccia online del modello consente di inserire i cinque valori indicati dallo studio, mentre il risultato include un intervallo di predizione della recidiva, una stima della probabilità che il punteggio di recidiva ecceda il valore soglia di 25 punti e una figura che mostra la distribuzione attesa del punteggio di recidiva per il paziente.
Tra le pazienti del Johns Hopkins Hospital (JHH) incluse nello studio, per esempio, il 65% rientrava in un rischio intermedio di sviluppare recidiva; e di queste, il 48% (297 su 613) avrebbe dovuto sottoporsi all’esame ODX. Insomma, solo 127 su 299 sarebbero state invitate a fare l’esame molecolare se l’algoritmo fosse stato applicato prima. “Speriamo che il nostro metodo diventerà di routine nel processo di decisione se ordinare o meno ODX alle pazienti”, ha spiegato Cope. “Ci teniamo a sottolineare che abbiamo reso facile il sistema per i medici che volessero metterlo alla prova prima di utilizzarlo”.
Fonte: J Clin Ocol 2016
Will Boggs MD
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)
