Cancro al seno: Il 95% delle under 40 USA fa il test di Angelina Jolie

Tumore mammario seno(Reuters Health) -Secondo un recente studio americano, negli ultimi anni, sempre più donne con una diagnosi di tumore al seno, sotto i 40 anni, si sono sottoposte a test genetici per verificare le mutazioni del DNA. Il tasso di test genetici effettuati dal 2007 ad oggi è salito stabilmente del 70% l’anno. Un dato molto positivo, secondo i ricercatori dello studio guidati da Ann Partridge del Dana-Farber Cancer Institute di Boston. Gli esperti, che hanno pubblicato i dati sulla rivista JAMA Oncology, riferiscono che il National Comprehensive Cancer Network americano raccomanda a tutte le donne alle quali è stato diagnosticato un tumore del seno al di sotto di 50 anni, di verificare se c’è una mutazione sul gene BRCA, che indica il rischio di essere colpite da un nuovo cancro alla mammella o alle ovaie o di avere una ricaduta a 10 anni di distanza. “La percentuale di test eseguiti in questa popolazione è probabilmente già più alta rispetto a quella di altri tipi di tumori, ma è comunque importante vedere che il dato cresce e sempre più donne si sottopongono al test”, ha dichiarato Partridge alla Reuters Health. “Siamo stati sorpresi – ha sottolineato – di quanto fosse alta la percentuale nel periodo di tempo considerato”.

I dati della ricerca
I ricercatori hanno analizzato i dati raccolti tra il 2006 e il 2014 in 11 diversi centri oncologici americani. In totale, sono state prese in considerazione quasi 900 donne, di massimo 40 anni di età, colpite da tumore della mammella. Gli oncologi hanno quindi analizzato quante fra queste avevano eseguito il test per la mutazione di BRCA e se il risultato del test aveva influenzato la loro terapia. L’87% delle donne considerate nello studio sono state sottoposte al test genetico entro un anno dalla diagnosi di tumore. Dal 2007 in poi, la percentuale di donne che si sono sottoposte al test è andata aumentando costantemente ogni anno, raggiungendo una percentuale del 96,6% nel 2012 e del 95,3% nel 2013. In un campione di 780 donne considerate nello studio, 59 hanno scoperto di avere una mutazione del gene BRCA1 e 35 donne avevano una mutazione del BRCA2,mentre altre 35 hanno dichiarato di avere avuto un risultato indeterminato o variabile. Le restanti, infine, non hanno riportato mutazioni del DNA. Ricerche precedenti hanno rilevato che nelle donne tra 30 e 34 anni di età, con diagnosi di tumore alla mammella, avere una mutazione sul gene BRCA1 significa avere circa 1 possibilità su tre di sviluppare un secondo tumore entro 10 anni dalla diagnosi del primo. Per le donne tra 35 e 39 anni, una mutazione sullo stesso gene è responsabile di 1 caso su 4 di recidiva entro 10 anni.

Donne consapevoli
Circa il 30% delle donne prese in considerazione nello studio ha dichiarato che la consapevolezza del rischio genetico ha influenzato in qualche modo le decisioni prese per la successiva terapia. Infatti, Quasi una donna su due tra quelle risultate negative al test ha scelto una mastectomia bilaterale, contro l’86% di quelle che avevano la mutazione. Chi aveva la mutazione, inoltre, ha scelto più frequentemente l’asportazione anche delle ovaie. Delle 117 donne che non si erano sottoposte al test del BRCA entro un anno dalla diagnosi, quasi un terzo ha dichiarato di non averne discusso con il proprio medico e di non essere a conoscenza dello screening a disposizione. Il 37% delle donne che non si erano sottoposte al test, comunque, dopo lo studio ha dichiarato di stare pensando alla possibilità di effettuarlo nel futuro. Il test del BRCA è entrato in commercio per la prima volta nel 1996 e in appena 20 anni il suo utilizzo si è diffuso largamente, ha riferito Jeffrey Weitzel del City of Hope cancer center di Duarte, in California, uno degli autori dello studio, alla Reuters Health. “Le raccomandazioni sono che ogni donna con tumore del seno sotto i 40 anni si sottoponga al test, per sicurezza”, ma una piccola parte delle donne dello studio ha dichiarato di non sapere del test o che il medico le ha riferito che non era necessario farlo. “Questo – ha spiegato l’oncologa – è chiaramente una mancanza del sistema”, sottolineando che deve essere fatto uno sforzo maggiore per ridurre gli ostacoli all’accesso al test, che possono essere ancora più alti nelle donne che non hanno una copertura assicurativa.

Nello studio, però, mancano i dettagli sulla consulenza genetica data alle donne, un aspetto importante che ci fa capire come vengono utilizzati i risultati dello screenig. “Più donne si sottopongono al test e più importante è supportarle con una corretta consulenza”, ha concluso Partridge.

Fonte: JAMA Oncol 2016

Kathryn Doyle

(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

 

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