
La tecnica nota come embolizzazione della vena porta (PVE) è comunemente impiegata per salvare il maggior volume possibile di fegato, ma i suoi effetti in campo oncologico non sono ancora completamente compresi. Toru Beppu, della Kumamoto University, e colleghi hanno valutato l’impatto di questa tecnica pre operatoria sulla ricomparsa e sulla prognosi a lungo termine in 510 pazienti affetti da epatocarcinoma e trattati chirurgicamente con epatectomia destra. Di questi, 162 pazienti hanno subito anche l’embolizzazione della vena porta.
Lo studio
Dai risultati raccolti è emerso che con la PVE si è ridotta la porzione di volume asportata dal 60,5% al 50,3%. Sebbene il volume di fegato tolto fosse inferiore nel gruppo che non aveva subito PVE (48,3%), le due percentuali si sono comunque avvicinate. La durata media dell’intervento è stata invece significativamente più lunga nei pazienti che si sono sottoposti a PVE, 417 minuti contro 393, ma non sono aumentate le complicanze post-operatorie. La mortalità a 30 e a 90 giorni non è stata diversa tra i due gruppi, mentre il tempo libero da ricomparsa del tumore e la sopravvivenza totale sono stati significativamente maggiori nel gruppo che aveva subito PVE prima dell’operazione, almeno quando i dati non erano ‘aggiustati’.
L’incidenza delle ricadute totale e entro due anni dalla chirurgia è stata simile nei due gruppi, anche se la comparsa del tumore in sede diversa dal fegato è stata più frequente nel gruppo di pazienti che non si erano sottoposti a PVE, 38,8% contro 18,8%. “PVE può assicurare la rigenerazione del fegato e estendere l’indicazione chirurgica senza svantaggi, con l’eccezione di una durata maggiore dell’operazione – hanno spiegato i ricercatori –. Sarebbe raccomandabile, comunque, fare un trial clinico per paragonare la ricomparsa del tumore e la prognosi, con e senza PVE”, hanno aggiunto.
Fonte: Journal of the American College of Surgeon
Reuters Staff
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Sciences)
