Cancro al colon-retto: “la partita si gioca sulla prevenzione”

Il cancro del colon-retto (CRC) è il terzo tumore più diagnosticato al mondo, con un aumento, negli ultimi anni, dei tumori a esordio in età giovanile. Visti gli importanti progressi compiuti nella genetica dei tumori, è importante valutare quali siano le basi genetiche del CRC giovanile, ad esordio entro i 50 anni, non solo per aumentare la conoscenza della malattia ma anche per migliorare la sorveglianza degli individui e la cura dei pazienti. Ne abbiamo parlato con il Professor Luigi Laghi coautore, insieme al Professor Luigi Ricciardiello di un commento pubblicato sulla rivista Nature, proprio a proposito dell’importanza dello screening delle forme ereditarie del cancro al colon-retto.

Qual è la percentuale di tumori al colon-retto ereditari?

I casi di cancro al colon-retto con alterazioni in geni predisponenti costituiscono circa il 10% del totale includendo i pazienti che presentano le mutazioni cosiddette non-canoniche/inattese e a bassa penetranza (che non si manifestano in tutti i casi). La percentuale dei casi giovanili è di circa il 15-20%, ed in questo caso la prevalenza delle predisposizioni aumenta.

Oltre alle mutazioni comunemente associate al CRC, come quelle del gene APC per la poliposi adenomatosa familiare e MSH2 e MHL1 nel caso della malattia di Lynch, quali sono i geni correlati allo sviluppo di questo tipo di cancro?

Non abbiamo vere new entry, abbiamo il riscontro appunto dei geni non-canonici, scientificamente associati ad altri tumori, come BRCA1 o ATM, dei quali bisognerà chiarire l’importanza.

Questi geni sono attualmente il bersaglio molecolare di terapie mirate? 

Esistono delle immunoterapie, e sappiamo che i pazienti che rispondono meglio a questo tipo di trattamenti nel caso del colon-retto sono proprio quelli affetti da sindrome di Lynch, caratterizzata da instabilità dei microsatelliti. Comunque si tratta di una malattia che raramente diventa aggressiva, metastatica. Il 90% dei pazienti,che non ha queste caratteristiche però non risponde al farmaco.

In ogni caso secondo me la partita si gioca dal punto di vista della prevenzione, perché una volta che si identificano gli individui ad alto rischio è possibile sorvegliarli (molto meglio avere tante Angelina Jolie che tante zie di Angelina Jolie, che si è appunto ammalata). Per questa ragione la diagnosi molecolare dovrebbe diventare una diagnosi diffusa, se non a tappeto, per individuare la malattia prima che si manifesti, almeno nei familiari.

Nel vostro articolo parlate di un progetto portato avanti da Alleanza Contro il Cancro che va proprio in questa direzione: l’individuazione sistematica dei soggetti con difetto genetico. In cosa consiste il progetto?

Alleanza Contro il Cancro ha dato il via ad una serie di progetti che potrebbero colmare il ritardo, che abbiamo in Europa in generale, rispetto al sequenziamento genico di nuova generazione (una serie di tecnologie che permette di sequenziare moltissimi geni in poco tempo, n.d.r.). Il progetto Gersom valuterà le componenti genetiche del cancro al colon , del cancro alla mammella e all’ovaio. Per quanto riguarda la mammella gli sforzi saranno concentrati sul tumore più problematico, il triplo negativo, invece verranno presi in considerazione tutti i tumori ovarici perché si tratta di una malattia non frequente per cui è oggi disponibile un farmaco mirato, l’olaparib, per i pazienti con mutazione BRCA. Per il cancro al colon-retto ho proposto un criterio molto semplice: verranno appunto inclusi tutti i pazienti al di sotto dei 50 anni. Il progetto sta partendo ora, verranno analizzati circa 1.000 pazienti con tumore giovanile del colon-retto in tre anni, il pannello conta più di 400 geni, una quota per le mutazioni somatiche, che acquisisce il tumore nella sua storia, e 100 per le mutazioni predisponenti.

Alla fine dell’articolo proponete di testare tutti i soggetti con CRC precoce per valutare le componenti genetiche coinvolte nello sviluppo del tumore. Quale vantaggio apporterebbe questo approccio ai pazienti?

Prima di tutto comporterebbe una corretta definizione diagnostica, pilastro della conoscenza medica, anche per una miglior comprensione e quindi trattamento delle malattie, unitamente ad una corretta sorveglianza personalizzata dei pazienti e dei familiari portatori degli stessi difetti genetici.

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