
Secondo una recente ricerca Censis-Associazione Italiana Malattia di Alzheimer (Aima), infatti, solo il 56,6% dei pazienti è seguito da una struttura pubblica, mentre il 38% delle famiglie deve ricorrere a una badante. Di fronte a un impatto sempre meno sostenibile, affermano gli esperti, sicuramente è l’intero modello assistenziale che andrebbe ripensato, potenziando la rete dei servizi e prevedendo interventi a sostegno del malato e dei caregiver. Accanto a questo approccio sinergico, un ruolo cruciale lo potrebbe avere la ricerca scientifica.
Si stima infatti che, ”se non ci saranno investimenti in prevenzione e trattamento, solo per l’Alzheimer si passerà dai 36 mln di casi attuali nel mondo ai 115 mln del 2050, con un aumento vertiginoso dei relativi costi sanitari”, afferma Mario Melazzini, Presidente dell’Agenzia italiana del farmaco. Punto cruciale però è anche un altro: ”Serve un cambio di paradigma nell’identificare i potenziali malati; questa malattia infatti si instaura almeno 20 anni prima della comparsa dei sintomi e il cervello riesce a contrastarla per lungo tempo”, sottolinea Paolo Maria Rossini, direttore dell’Istituto di Neurologia del Policlinico Gemelli di Roma. Resta tuttavia prioritario il problema del carico assistenziale: ”Purtroppo – conclude Patrizia Spadin, Presidente Aima – nel nostro Paese soltanto alcuni territori, in poche regioni, offrono una reale integrazione tra sanità e assistenza”.
