
Partendo da fondati sospetti che la foresta stesse emettendo più CO2 di quanto ne assorbisse pubblicati in un precedente studio del 2021, i ricercatori, utilizzando campioni di aria raccolti durante sorvoli della regione boschiva, hanno trovato nuove conferme a tali sospetti. E hanno dimostrato in particolare che le emissioni di CO2 in Amazzonia sono passate da una media di 240 milioni di tonnellate, fra il 2010 al 2018, a 440 milioni nel 2019 (+83%) e a 520 milioni nel 2020 (+117%). Con un volume di questi due anni, che riguardano la presidenza dell’ultraconservatore Jair Bolsonaro, doppio rispetto a quello degli otto anni precedenti.
Concentrandosi sul biennio che ha evidenziato il peggioramento, lo studio chiarisce che una delle possibili cause è la deforestazione, aumentata dell’82% e del 77% circa, con una crescita dell’area bruciata che è stata del 14% e del 42% fra il 2019 e il 2020 rispetto alla media del 2010-2018. Sempre in relazione con i due anni sotto osservazione, i ricercatori hanno anche scoperto che il numero delle notifiche di infrazioni contro la flora è diminuito del 30% e del 54%, e le multe pagate per i reati ambientali sono scese del 74% e dell’89%.
In sostanza, sostiene la ricerca, le perdite di carbonio del periodo 2019-2020 sono paragonabili a quelle del caldo record di El Niño (2015-2016) senza un evento di siccità estrema. I test statistici, si dice poi, mostrano comunque che le differenze osservate tra la media del periodo 2010-2018 e quella del periodo 2019-2020 “difficilmente sono dovute al caso”. Il peggioramento nel bilancio del carbonio dell’Amazzonia, conclude lo studio, “è dovuto principalmente al fatto che l’Amazzonia occidentale è diventata una fonte di carbonio”. I dati raccolti “indicano che una riduzione della quantità di forze dell’ordine ha portato ad un aumento della deforestazione, alla combustione di biomassa e al degrado delle foreste, che hanno aumentato le emissioni di carbonio e di conseguenza l’essiccazione e il riscaldamento delle foreste amazzoniche”.
