
La placenta umana contiene reti di vasi per lo scambio di sangue venoso/arterioso. Inoltre, presenta ampi spazi per il trapianto di cellule o tessuti, e anche componenti della matrice extracellulare che contengono fattori benefici associati a diverse tipologie di cellule. Le strutture vascolari della placenta sarebbero rimaste intatte e lo stroma sarebbe stato ben conservato anche dopo liofilizzazione e crioconservazione per mesi.
I ricercatori, dopo la decellularizzazione, hanno iniettato nella placenta umana il tessuto epatico prelevato da un’epatectomia parziale di una pecora. Il tessuto epatico iniettato nella placenta avrebbe, poi, mantenuto una struttura adeguata e sarebbe rimasto sano dopo tre giorni di perfusione in vitro. Inoltre, la placenta ‘epatizzata’ avrebbe mostrato evidenze di trasporto epatico e funzioni di sintesi e di perfusione dell’innesto.
Dopo il trapianto di placenta epatizzata sulla pecora, entro 60 minuti dall’intervento di epatectomia, è stato osservato un corretta corretta ripresa dii diverse funzioni del fegato senza eccessiva distensione o rottura. Successivamente, i ricercatori hanno valutato gli innesti da uno a 45 giorni dopo il trapianto, evidenziando un buon collegamento tra vasi placentari e femorali, mentre gli esami istologici avrebbero confermato la formazione di fogli epatici con epatociti contenenti sangue e altre cellule. Inoltre, ci sarebbe stata evidenza di comunicazione cellula-cellula, così come di conservazione di glicogeno e produzione di albumina. Infine, dopo 20 giorni, gli innesti sarebbero aumentati di peso, raggiungendo, in media, i 193 grammi dai 163 di partenza. E cinque dei sette animali trapiantati con la placenta ‘epatizzata’ sarebbero sopravvissuti contro nessuno degli animali che non avevano ricevuto alcun trattamento.
“Questo approccio è essenzialmente pronto per procedere alla sperimentazione sull’uomo – affermano Gupta e Kakabadze. Secondo i due esperti, “la preparazione in anticipo dell’innesto e l’organizzazione della fornitura di organi potrebbero risultare utili”, mentre l’utilizzo di tessuto da donatori non corrispondenti “richiederà una immunosoppressione simile a quella per il trapianto di organi allogenici”. E mentre Biman Mandal, dell’Indian Institute of Technology Guwahati, invita a condurre più studi per valutare la rigenerazione di altri organi o tessuti non funzionanti, T. K. Maiti, dell’Indian Institute of Technology Kharagpur, in India, è sicuro che “questo studio aprirà nuove strade per l’utilizzo della placenta umana all’ingegneria tissutale, anche se non è stata fatta un’approfondita valutazione della funzionalità degli epatociti a lungo termine”. Inoltre, Maiti ha evidenziato anche gli aspetti etici di ottenere campioni di placenta, limite che potrebbe essere risolto “prendendo la placenta da altri mammiferi”, ha concluso l’esperto.
Fonte: Hepatology
di Will Boggs
(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)
