
Lo studio
Alti livelli di antigene carboidratico 19-9 prima dell’intervento sono riconducibili spesso all’individuazione di metastasi sconosciute al momento della diagnosi, o a recidive precoci e risultati peggiori della terapia. Tuttavia, l’associazione di questo valore con i tempi di sopravvivenza nei pazienti con un cancro al pancreas al primo stadio resta sconosciuta. I ricercatori americani hanno cercato di capire l’utilità terapeutica dei livelli di CA 19-9 relativamente all’individuazione dei pazienti da sottoporre a chirurgia e del trattamento cui devono sottoporsi. La ricerca è stata condotta attraverso uno studio retrospettivo su più di 10mila pazienti con un tumore del pancreas nelle fasi iniziali (stadio I e II), operabile. Tra tutti i casi considerati, i pazienti sui quali erano stati misurati i livelli di CA 19-9 erano solo un quarto di quelli presenti nel database. I valori sopra alla norma, superiori a 37 U/ml, erano associati con una peggiore prognosi di sopravvivenza rispetto ai pazienti con livelli normali o che non avevano l’antigene nel sangue. Inoltre, il dato sulla sopravvivenza era peggiore nei pazienti allo stadio iniziale della malattia. I tempi di sopravvivenza registrati erano inferiori anche nei pazienti con un modesto aumento dei livelli di antigene carboidratico. Dopo aver aggiustato i dati secondo altri fattori, alti livelli di CA 19-9 erano indipendentemente associati con un aumentato rischio di mortalità. Mentre altri fattori indipendenti, collegati ad un aumento della mortalità, erano l’età superiore a 65 anni, un alto punteggio di comorbidità Charlson-Deyo, un tumore più esteso o di grado più elevato, la presenza di interessamento linfovascolare e il mancato trattamento con chemioterapia o radioterapia.
Le evidenze
Secondo lo studio, i pazienti con alti livelli di CA 19-9 che si sottoponevano a una terapia per ridurre le dimensioni del tumore, seguita da chirurgia, avrebbero avuto una prognosi migliore tra tutti i malati, e la combinazione dei due trattamenti avrebbe contribuito ad eliminare il rischio dell’aumento della mortalità associato ad alti livelli di CA 19-9. Mentre la chemioterapia post-chirurgica avrebbe leggermente ridotto il rischio di mortalità associato ad alti livelli di CA 19-9 e la chirurgia da sola non avrebbe eliminato questo rischio. “Ogni paziente, indipendentemente dal fatto che il tumore sia operabile o meno, dovrebbe essere trattato con chemioterapia prima dell’intervento – ha sottolineato Truty -. Questo studio mostra che possiamo cambiare i fattori biologici del paziente, e di conseguenza la riuscita della terapia, trattando con la chemioterapia prima della resezione chirurgica nei pazienti con alti livelli di CA 19-9”.
“L’obiettivo della chirurgia è di curare il paziente e farlo vivere più a lungo nelle migliori condizioni, non semplicemente rimuovere il tumore. – ha concluso l’esperto – Abbiamo fatto la stessa cosa per anni: chirurgia e poi chemioterapia. Anche se abbiamo migliorato le prognosi, abbiamo bisogno di ripensare l’approccio terapeutico”.
Fonte: J Am Coll Surg 2016
Will Boggs MD
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)
