
I linfociti del donatore sono da un lato parte della cura, visto che ‘attaccano’ non riconoscendole le cellule malate del ricevente. Ma possono spesso attaccare anche altre cellule del paziente, diventando una grave malattia (appunto, dell’organismo ‘ospite’) che lede gravemente organi e tessuti come cute, fegato, intestino od occhi. Con conseguenze che possono anche essere mortali. Di durata decennale, lo studio ha coinvolto 27 istituzioni tra Italia, Germania e Spagna, ed è stato ideato dal Nicolaus Kroger di Amburgo, Carlos Solanos di Valencia e appunto da Bonifazi dell’Istituto di Ematologia ‘Seragnoli’ del Policlinico di Bologna, che ha coordinato lo studio per l’Italia da cui provengono 90 dei 161 pazienti oggetti dello studio. Bonifazi da maggio presiede il Gitmo (Gruppo italiano per il trapianto di midollo osseo, cellule staminali emopoietiche e terapia cellulare), la più importante società scientifica nell’ambito del trapianto di cellule staminali emopoietiche in Italia. “Oggi sappiamo come fare un trapianto con rischi minori senza comprometterne l’efficacia – ha detto Bonifazi -. Questo studio definisce quale è il nuovo standard, e conoscere lo standard per qualunque terapia è fondamentale perché tutte quelle che varranno saranno confrontante con questa”. “L’articolo pubblicato oggi – ha commentato Michele Cavo, direttore dell’Unita operativa di Ematologia del Policlinico bolognese – è l’esempio migliore di come per il nostro istituto la ricerca sia al pari della attività clinica un modo efficace per aver cura dei nostri pazienti”. Al Sant’Orsola si eseguono ogni anni circa 1.500 trapianti di cellule emopoietiche.
