Terapia anticoagulante, i Doac sono un investimento per il Servizio sanitario

Uno studio per analizzare le preferenze di pazienti, medici e farmacisti per quanto riguarda la terapia anticoagulante e in particolare il trattamento della fibrillazione atriale, la cui prevalenza negli over75 è del 10-15%. È questo l’obiettivo del lavoro condotto da Fondazione Charta con il contributo di Daiichi Sankyo. “Si tratta di un aggiornamento di uno studio che abbiamo condotto una quindicina di anni fa, quando le nuove terapie non erano ancora disponibili”, spiega Lorenzo Mantovani, responsabile scientifico di Fondazione Charta e professore associato di Igiene Generale ed Applicata all’Università di Milano Bicocca.

La metodologia usata si chiama esperimento a scelte discrete e consiste nel ricostruire il valore di un bene sulla base delle sue caratteristiche e capire quali sono le caratteristiche che sono più importanti per i diversi soggetti che concorrono poi alla formazione della decisione terapeutica. “Il valore oggettivo delle terapie anticoagulanti orali è già stato definito dalla loro efficacia, sicurezza ed efficienza, ma la traduzione in pratica di questo, per esempio attraverso la gestione dell’aderenza terapeutica del paziente passa attraverso la percezione che i vari stakeholder hanno”, continua Mantovani. Rispetto a 15 anni fa oggi esistono gli anticoagulanti orali diretti (Doac), che stanno affiancando e pian piano sostituendo gli antagonisti della vitamina K (Avk).

Le preferenze di pazienti, medici e farmacisti

“Con gli anticoagulanti diretti ci sono vantaggi per i pazienti, che prendono una o due compresse al giorno con meno preoccupazioni rispetto alla terapia con gli Avk – ha rilevato Walter Ageno del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università degli studi dell’Insubria – I vantaggi ci sono anche per i medici, che riescono a monitorare meglio i pazienti anche senza doverli vedere spesso. In questo modo possono organizzare meglio le loro attività ambulatoriali”.

“In questo studio è emerso quanto sia importante per il medico la valutazione del rischio emorragico di una certa classe di farmaci”, ha spiegato Marco Moia del Centro trombosi, gruppo MultiMedica, Milano.

I pazienti, da parte loro, hanno messo sul podio delle preferenze “la sicurezza, la possibilità di utilizzare un antidoto e i costi – ha affermato Roberto Santi dell’Sc Emostasi e Trombosi-Ematologia, dell’Azienda ospedaliera SS. Antonio e Biagio e C. Arrigo di Alessandria – Quest’ultimo aspetto è stato inaspettato, visto che i pazienti ricevono i farmaci gratuitamente. Tuttavia, testimonia una sensibilità che si sta diffondendo e che è estremamente positiva”.

“Come farmacisti ospedalieri siamo coinvolti nella discussione sui farmaci per la terapia anticoagulante – ha premesso Gerardo Miceli Sopo, direttore Uoc Farmacia Ospedaliera Continuità Ospedale Territorio e Distribuzione Diretta, Asl Roma 2 – Con i Doac abbiamo visto un costo iniziale maggiore, poi ampiamente riassorbito dai benefici terapeutici e sociali. Dai dati è emerso anche come la dose unica giornaliera sia stata preferita a quella che prevedeva più somministrazioni. Questo perché permette una maneggevolezza migliore anche da parte di persone anziane”.

Tradurre in pratica clinica i risultati

“Le perplessità iniziali nei confronti dei Doac si sono andate negli ultimi anni dileguando e questi farmaci sono sempre più richiesti, soprattutto dai nuovi pazienti – ha affermato Raffaele Landolfi, professore ordinario di Medicina Interna alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma – Questo studio ha il merito di confermare con i dati quelle che erano le nostre percezioni”.

Per la terapia anticoagulante l’aderenza è fondamentale. Per raggiungerla, “è fondamentale un’alleanza terapeutica tra medico e paziente – ha sottolineato Marco Donadini, professore associato di Medicina Interna nel Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università dell’Insubria – I dati provenienti dallo studio della Fondazione Charta ci dicono a quali argomenti sono più sensibili i pazienti. Sono questi che andranno approfonditi e spiegati dallo specialista”. Per migliorare l’aderenza, inoltre, secondo l’esperto è necessario coinvolgere anche la famiglia e utilizzare dispenser o alert elettronici che semplifichino la vita.

L’empowerment del paziente, al centro degli sforzi della medicina degli ultimi anni, deve però tener conto degli ostacoli di natura burocratica e legale: “Il consenso informato, per esempio, è materia delicata perché fonte di un’autonoma responsabilità rispetto a quelle civili e penali – ha spiegato Elisabetta Bressan, avvocato dello Studio legale Corbani Vedani Bressan di Varese – Purtroppo durante la pandemia non è cambiato nulla da questo punto di vista”.

“Con i Doac abbiamo osservato una riduzione della complicanza più temibile, ovvero l’emorragia cerebrale, di circa il 60% rispetto agli Avk. Questo già di per sé basterebbe a farci preferire questi farmaci – ha notato Alberto Margonato, direttore di Cardiologia Clinica all’ospedale San Raffaele, di Milano – Inoltre, i dati di real life hanno dimostrato che la sicurezza e l’efficacia sono addirittura maggiori rispetto a quelle registrate nei trial”.

Recentemente l’ospedale Niguarda di Milano ha condotto uno studio di Health Technology Assessment su pazienti con fibrillazione atriale non valvolare ad alto rischio comparando la chiusura percutanea dell’auricola sinistra con la terapia anticoagulante (sia Avk sia Doac). “I risultati hanno dimostrato che esiste una piccola percentuale di pazienti che necessita dell’intervento chirurgico – ha osservato Paola Colombo della Sc Qualità e Rischio clinico del Dipartimento Governo clinico e Qualità del Niguarda – ma di fatto la maggior parte potrebbe essere gestita con sicurezza ed efficacia e anche in modo economicamente vantaggioso con i Doac”.

La gestione dell’anziano

“Siamo il Paese più vecchio al mondo, ma oggi molti dei nostri anziani sono ancora attivi: dobbiamo investire su di loro, cercando di prevenire le principali patologie cerebro e cardiovascolari – ha osservato Stefano Carugo, direttore del Dipartimento Cardiopolmonare dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano – I Doac ci aiutano in questo senso e contribuiscono a tutelare meglio i nostri anziani”.

Proprio perché i pazienti anziani non sono tutti uguali, secondo Giuseppe di Tano dell’Uo di Cardiologia dell’ospedale di Cremona “è necessario stratificarli meglio: l’età è un elemento che va associato ad altre comorbidità e fragilità e il paziente anziano con fibrillazione atriale è particolarmente delicato. Per questo va monitorato nel tempo e non si può lasciare a una gestione completamente autonoma”.

La fibrillazione atriale, infatti, aumenta gli eventi di eventi ischemici, in particolare cerebrali, di quasi 5 volte. Un terzo degli ictus, inoltre, è associato a questa aritmia. “In Italia parliamo di 60-70.000 pazienti – fornisce qualche numero Giovanni Luca Botto dell’Uo di Elettrofisiologia ed Aritmologia Clinica dell’Asst Rhodense – L’ictus rappresenta il 2-3% della spesa sanitaria di un Paese, ha dei costi diretti di 20.000 euro per paziente per anno, ai quali vanno aggiunti i costi indiretti a carico della società e della famiglia, che sono stimati in 30.000 euro per paziente ogni anno”.

All’interno della terapia anticoagulante, gli Avk riducono il rischio di ictus del 66% e la mortalità complessiva del 25%. I Doac sono in grado di diminuire di un ulteriore 19% il rischio di ictus e di un 10% quello di morte. “Soprattutto, possono dimezzare l’effetto collaterale più temuto della terapia anticoagulante: l’emorragia cerebrale. Con questi numeri è facile capire che la maggiore spesa che i sistemi sanitari devono affrontare per i Doac è in realtà un investimento, che, dopo tre anni, porta anche a un risparmio”.

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