
Il ritrovamento
Il recupero è stato eseguito dal Gruppo Speleologico Bolognese ed il cranio è stato trasportato, per iniziarne lo studio, nel Laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia forense del Dipartimento di Scienze biologiche dell’Università di Bologna. Per valutare lo stato di conservazione e il tipo di sedimenti che riempivano la cavità cranica, è stata effettuata una Tc del reperto, mentre le datazioni al radiocarbonio sono state effettuate sul secondo molare sinistro dal Cedad, Centro di Datazione e Diagnostica dell’Università del Salento.
Fra il terzo e gli inizi del secondo millennio a.C. le cavità naturali venivano sfruttate come luogo di sepoltura collettiva, secondo un costume tipico sia in area appenninica che in area alpina. Nell’Età del Rame molte sepolture presentano pratiche funebri di manipolazione, spostamento e rimozione dello scheletro, che rivelano un forte simbolismo legato alle credenze sacre e al culto degli antenati. I crani, in particolare, dovevano rivestire un forte valore simbolico: la loro asportazione quasi sistematica dal luogo di giacitura potrebbe suggerirne, secondo gli esperti, un utilizzo in ambienti diversi da quello strettamente funerario.
