Senti chi fuma per capire come aiutarlo

Porre il fumatore al centro, ascoltando i suoi bisogni e le sue paure. È questo il lavoro svolto da Fabio Beatrice e Johann Rossi Mason in “Senti chi fuma”, presentato lo scorso 20 Giugno a Torino e che raccoglie oltre 20 testimonianze di persone che hanno abbandonato le bionde.

“Abbiamo scelto un approccio diverso, di medicina narrativa – spiega Johann Rossi Mason, giornalista medico scientifico – I fumatori sanno benissimo che fumare fa male, ma sono vittime di un meccanismo cognitivo per cui il piacere immediato è molto più forte del rischio futuro. Per questo abbiamo voluto ascoltare direttamente da loro quali potessero essere gli strumenti per aiutarli”.

Secondo i dati dello studio Passi in Piemonte il 24% dei residenti è un tabagista e il 19% un ex fumatore. Uno su 3 è giovane e ha meno di 34 anni, il 29% sono uomini. Un fumatore su 4 è classificato come forte: consuma cioè più di un pacchetto al giorno.

“Il Piemonte per fortuna è estremamente impegnato nella lotta al fumo: è la Regione italiana con il maggior numero di Centri Antifumo e ha avviato un processo sistematico per la prevenzione e la riduzione dei rischi da tabagismo, anche per contrastare i quasi 20 mila ricoveri ospedalieri evitabili attribuibili al fumo di sigaretta, pari al 4% di tutti gli accessi in ospedale”, sottolinea Fabio Beatrice, Direttore della Struttura Complessa di Otorinolaringoiatria e Direttore del Centro Antifumo dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino.

Dalle storie raccolte in “Senti chi fuma” emergono due elementi fondamentali che potrebbero orientare le politiche antifumo nei prossimi anni: solo i fumatori possono essere autori del percorso di cessazione, ma per ottenere risultati significativi anche in termini di salute pubblica occorre che siamo seguiti e sostenuti da una classe di medici formati a formulare proposte individuali e accessibile.

“I fumatori, in mancanza di risposte efficaci, tendono ad orientarsi verso comportamenti e prodotti che diminuiscono i rischi per la salute propria e di chi sta loro vicino – spiega Beatrice – Ridurre il danno non vuol dire solo smettere, che resta l’obiettivo principale, ma assecondare l’uso di prodotti del tabacco meno nocivi per chi non vuole o non riesce a superare la dipendenza: il 67,8% dei fumatori ha provato la sigaretta elettronica e l’1,4% ha sperimentato il cosiddetto fumo freddo”.

Molti fumatori, specialmente tra il gruppo dei forti, con più di 20 sigarette al giorno, o tra i reticenti, che resistono agli approcci antifumo, non sono disponibili a smettere completamente. Sono proprio quel 28,5% di fumatori che fuma più di 20 sigarette al giorno che ricerca modalità di consumo diverse, siano appunto sigarette elettroniche con liquidi contenenti aromi e nicotina o fumo freddo, generato dai prodotti a tabacco riscaldato, in cui uno stick di tabacco viene riscaldato a una temperatura inferiore a 300 gradi, eliminando il problema della combustione e gran parte dei suoi prodotti cancerogeni.

“Ovviamente non potrà mai esistere un ‘fumo sano’, ma se la semplice proposta di cessazione non suscita interesse, nell’ambito di una politica di aiuto consapevole occorre pragmaticamente tenere conto anche delle conoscenze sul funzionamento cerebrale e della psicologia cognitiva – sottolinea Rossi Mason – È per questo che le politiche cadute dall’alto non attecchiscono in maniera sufficiente. Quindi, risulta necessario sfruttare il cambiamento e l’innovazione: solo con la consapevolezza di ciò che può migliorare la salute dei fumatori si potranno proporre alternative accessibili e concrete”.

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