
Lo studio
Il team ha esaminato i dati relativi a 537 pazienti con scompenso cardiaco lieve già partecipanti a uno studio più ampio. Si è cosi evidenziato che a sette anni dall’impianto, la probabilità complessiva di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca o di morte era del 45% in quelli randomizzati a ricevere un defibrillatore impiantabile cardioverter (implantable cardioverter-defibrillator – ICD) e del 56% in quelli che avevano ricevuto l’impianto di un defibrillatore biventricolare. Un’analisi multivariata con aggiustamento dei dati per la durata del QRS per i sottogruppi ha mostrato che i pazienti del quartile inferiore (134 ms o meno) avevano un rischio 2,4 volte maggiore di ospedalizzazione o di morte per quelli trattati con CRT-D, rispetto a quelli con il solo trattamento con ICD. Tuttavia, l’effetto di CRT-D nei pazienti del gruppo del quartile superiore (QRS maggiore di 134 ms) era neutro (HR 0,97). In una ulteriore analisi basata sullo studio della durata dell’intervallo PR, i pazienti con QRS prolungato (oltre 134 ms) e PR prolungato (almeno 230 ms) apparivano protetti con il trattamento CRT-D (HR 0.31). L’associazione è stata neutra nei pazienti con QRS prolungato e PR più breve.
“Nel complesso”, concludono i ricercatori, “i pazienti con scompenso cardiaco lieve ma senza blocco di branca sinistra, morfologicamente rilevabile all’ECG, non hanno mostrato un beneficio clinico con l’impianto di CRT-D durante il lungo periodo di follow-up. Inoltre un QRS relativamente più breve era associato ad un aumento significativo del rischio con CRT- D, rispetto al solo defibrillatore impiantabile cardioverter “. “Queste informazioni dovrebbero quindi essere prese in considerazione nel momento decisionale di una terapia CRT in questo sottogruppo di pazienti”, ha sottolineato Biton.
Fonte: Circ Heart Fail 2016
David Douglas
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)
