
“Capire come le collaborazioni differiscano in base al genere è molto importante”, ha detto Stasa Milojevic della Indiana University, Bloomington, che non faceva parte di questo nuovo studio.
“Se ci sono differenze sistematiche nei modelli di collaborazione siamo piĂą propensi a sperimentare le differenze di equilibrio tra i generi”, ha detto Milojevic.
Lo studio
L’autore Xiao Han T. Zeng della Northwestern University e i co-autori, hanno studiato dal 2010 le pubblicazioni di quasi 4.000 docenti nelle migliori universitĂ di ricerca statunitensi su sei discipline: ingegneria chimica, chimica, ecologia, scienza dei materiali, biologia molecolare e di psicologia.
Le ricercatrici avevano un minor numero di co-autori distinti considerando tutte le loro pubblicazioni ed era meno probabile che queste pubblicassero piĂą volte con precedenti co-autori, rispetto agli uomini. In particolare nell’area della biologia molecolare donne anche piĂą avanti in carriera avevano comunque un numero di co-autori ridotto rispetto agli uomini. “Questo studio dimostra un evidente predominio maschile nella genomica”, ha detto Milojevic. “Altri studi hanno suggerito che le donne tendono a lavorare su temi e aree di minor prestigio.”
Questo potrebbe essere importante per la politica scientifica in una serie di livelli. “La conoscenza dettagliata dei modelli di collaborazione in tutte le fasi della carriera e in tutti i tipi di istituti può aiutare con lo sviluppo di strategie in grado di diminuire le disparitĂ di genere nella scienza”.
“La scienza è un’impresa collaborativa”, ha detto Jevin West, che studia la “scienza della scienza” presso l’UniversitĂ di Washington a Seattle.
“Se, infatti, vi è una differenza nei modelli e comportamenti di collaborazione tra uomo e donna, questa è una cosa da non trascurare” ha affermato West, che non ha preso parte allo studio. “L’infrastruttura della scienza dipende da queste collaborazioni e se le donne vengono escluse per ragioni istituzionali o culturali, la National Science Foundation e il National Institutes of Health devono affrontare questo problema”.
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FONTE: PLoS Biology
Kathryn Doyle
(Versione Italiana di Quotidiano SanitĂ /Popular Science)
