
Le malattie degenerative del ginocchio
Rigidità, gonfiore e dolore, con una progressiva limitazione funzionale dell’articolazione e difficoltà di movimento: sono i sintomi di artrosi al ginocchio, una malattia degenerativa che, complice l’usura della cartilagine, può minare uno dei tre compartimenti dell’articolazione (rotula, femore e tibia) o tutti e tre insieme (in questo caso si parla di artrosi tricompartimentale). Ad un bravo ortopedico basta osservare la camminata del paziente per capire se il ginocchio è sano o se, al contrario, è interessato da una limitazione del movimento che può sottintendere una patologia degenerativa come l’artrosi. Per una diagnosi affidabile serve la radiografia, la verifica della stabilità dei legamenti e la risonanza nucleare magnetica, in modo da capire se e come intervenire in sala operatoria.
Le protesi parziali e totali
Si ricorre all’impianto protesico quando l’artrosi è già in stadio avanzato. Si tratta di un intervento sempre più comune: ogni anno vengono impiantate 100 mila protesi al ginocchio e i numeri sono in costante aumento. Le protesi di ultima generazione sono sempre più affidabili, resistenti e funzionali. Quelle parziali interessano uno dei tre compartimenti; in caso di usura diffusa dell’articolazione, invece, vengono impiantate protesi totali, che rivestono completamente la superficie di femore, tibia e rotula.
La tecnica robotica
Il braccio meccanico del robot Rio Mako permette al chirurgo di superare i limiti della tecnica a mano libera, con cui era più difficile posizionare protesi compartimentali interne molto piccole. Il sistema Mako è basato su 3 elementi: il braccio robotico (è sempre guidato dal chirurgo, non si muove in autonomia), la telecamera a infrarossi (durante l’operazione riceve tutte le informazioni relative alla posizione dei segmenti dell’articolazione) e la consolle, gestita dal tecnico biomedico. In generale, la protesi può essere impiantata solo in presenza di una buona stabilità articolare e di legamenti (sia crociati che collaterali) in buone condizioni. La tac tridimensionale consente di ricostruire un modello del ginocchio da operare, un passaggio utile per pianificare l’impianto prima dell’intervento.
I vantaggi rispetto alla tecnica tradizionale
Precisione e mini-invasività: il robot riduce l’errore umano e permette di trattare soltanto le parti rovinate, senza danneggiare i tessuti molli circostanti e la parte ossea. Questo intervento riduce la perdita di sangue e il dolore post-operatorio, e di conseguenza anche la somministrazione di antidolorifici è limitata al minimo indispensabile. Il recupero è più rapido, dopo 24 ore il paziente può già camminare con l’uso di stampelle. La maggior parte delle persone operate con protesi parziale viene dimessa dopo due o tre giorni; le protesi totali richiedono invece una riabilitazione leggermente più lunga (circa 15 giorni). L’impianto di protesi con la tecnica robotica è coperto dal Servizio Sanitario Nazionale (è possibile contattare direttamente la Clinica San Francesco di Verona per avere maggiori informazioni sulla chirurgia protesica robotica di ginocchio o anca).
La Clinica San Francesco
Piergiuseppe Perazzini, chirurgo della Clinica San Francesco, è considerato pioniere dell’ortopedia robotica a livello continentale. È stato infatti il primo a portare in Europa una tecnica che, fino agli inizi del 2011, era utilizzata solo negli Stati Uniti, dove è stata messa a punto. ll centro di ortopedia robotica europeo (CORE) della struttura veneta è divenuto negli anni un’eccellenza per la cura delle principali patologie di anca e ginocchio, sia in Italia che in Europa. La figura di Perazzini, unita all’intensa attività scientifica svolta dalla Clinica, “attira” giovani chirurghi che da ogni parte arrivano a Verona per apprendere questa tecnica.
