Medicina e realtà virtuale: come rendere possibile l’impossibile – Intervista a Marco Iosa

E se, durante il lockdown, in ogni casa ci fosse stato un caschetto di realtà virtuale? Probabilmente ci saremmo sentiti meno soli, le lezioni a distanza sarebbero state meno “alienanti” e sarebbe stato possibile, per esempio, portare una classe intera al Louvre, o al Colosseo, magari sulla Tour Eiffel, ovviamente virtualmente.

Le possibilità offerte dalla realtà virtuale (RV) e dalle tecnologie immersive sono innumerevoli e investono diversi ambiti: dall’intrattenimento alla medicina, dalla valorizzazione del patrimonio culturale alle arti e al business. Applicazioni che saranno esplorate in occasione della seconda edizione del VRE – Virtual Reality Experience, il festival internazionale, ideato e diretto da Mariangela Matarozzo, che si terrà dal 16 al 18 ottobre. Anche quest’anno verrà dedicato uno spazio alla realtà virtuale in medicina, un campo in cui le nuove tecnologie potrebbero davvero rendere possibile l’impossibile, come ci racconta Marco Iosa, Professore Associato del Dipartimento di Psicologia alla Sapienza di Roma e Responsabile dello SmArt Lab (Laboratory for the Study of Mind and Action in Rehabilitation Technologies) della Fondazione Santa Lucia.

Professore, il Santa Lucia è un istituto d’avanguardia nel campo della realtà virtuale, cosa fate nel vostro laboratorio?

Al Santa Lucia cerchiamo di applicare le nuove tecnologie alla neuro-riabilitazione. L’anno scorso, proprio in occasione del festival VRE, ho parlato per esempio del nostro approccio di arte-terapia. L’effetto della musico-terapia è noto: la performance dei soggetti migliora se questi ascoltano, durante la realizzazione di un compito, la musica di Mozart in sottofondo. Abbiamo fatto qualcosa di simile con l’arte, permettendo ai pazienti che avevano avuto un ictus di dipingere in un contesto di realtà virtuale. Muovendo il joystick sulla tela virtuale le persone avevano l’impressione di dipingere sulla tela un grande capolavoro (La creazione di Adamo di Michelangelo, La nascita di Venere di Botticelli o un Van Gogh, per esempio). Abbiamo adottato questo metodo perché gli studi di neuroscienze mostrano che osservare un’opera d’arte porti all’attivazione di molte aree cerebrali, persino di quelle motorie.

Quale tema tratterete al festival VRE di quest’anno?

Visti gli avvenimenti degli ultimi mesi, parleremo dell’uso di queste tecnologie nel contesto della pandemia. Alcune tecnologie, come la telemedicina, sono risultate molto utili per continuare a fare riabilitazione nonostante il lockdown. Ci sarebbe piaciuto poter usare la realtà virtuale, ovviamente non è stato possibile perché nelle case non ci sono, per il momento, gli strumenti necessari. Avevamo degli strumenti che ci consentivano, prima della pandemia, di essere connessi ovunque, e la crisi è stata un’occasione per sfruttarli al meglio.

E questo ha dato una spinta alla realtà virtuale: in fondo quando parliamo di RV parliamo di di sense of agency, quindi il senso di azione in un mondo virtuale e di sense of presence, quindi il percepire se stessi e un’altra persona anche se non ci si trova veramente nello stesso ambiente.

In che modo, attualmente, la realtà virtuale fa parte della pratica medica?

La RV virtuale è sempre più presente in medicina: negli ospedali più all’avanguardia non è infrequente trovare palestre dotate di apparecchiature di RV. Le applicazioni sono molteplici anche nell’ambito della psicologia. Ci sono studi che dimostrano che i bambini affetti da autismo riescono a socializzare più facilmente in un contesto di RV. Una ricerca italo-spagnola ha mostrato che per trattare, da un punto di vista psicologico, un uomo condannato per violenza su una donna, può essere utile metterlo nei panni di una donna, attraverso la RV. Il soggetto si ritrova in un corpo femminile, con un uomo che inveisce contro di lui. Lo stesso vale per il colore della pelle: mettere un bianco nei panni di un nero ha un effetto sulle idee razziste di una persona.

Quali sono le applicazioni possibili in un futuro prossimo?

Possiamo aspettarci che, grazie alla produzione da parte delle aziende nell’ambito dei videogiochi di apparecchiature per la RV, queste costeranno molto di meno. Cosa che permetterà di disporre di caschetti per la realtà virtuale con più facilità anche in medicina. Potrà essere usata per rendere più gradevole e partecipata la riabilitazione, ma anche per facilitare le operazioni chirurgiche. Con la tecnologia attuale disponiamo di una telecamerina che riprende la parte del corpo che viene operata. Con la realtà virtuale si può avere una ricostruzione tridimensionale e su questa fare delle valutazioni e delle “prove”, ad esempio facendo dei training con degli stent virtuali prima di inserirli sul serio.

Non siamo lontanissimi dalle operazioni a distanza, come quella mostrata nello spot della TIM per il 5G, con il cardiochirurgo che opera mentre si trova al matrimonio della figlia, ma probabilmente non siamo culturalmente pronti. Un esempio: se l’operazione dovesse andare male, come verrebbe affrontata la cosa giuridicamente? Credo sia qualcosa di ricorrente nella storia dell’uomo: si sviluppa una nuova tecnologia, culturalmente le persone non sono pronte e poi, con il tempo, si adattano.

E in Italia quanto viene effettivamente usata la RV nella pratica medica?

In Italia, in questo campo, abbiamo competenze, buone idee e ottime collaborazioni di ricerca con vari Paesi, siamo abbastanza all’avanguardia. Ovviamente non abbiamo ancora una diffusione degli strumenti, ma questo vale anche per gli altri Paesi.

Quale altre innovazioni ci attendono per il futuro?

Difficile prevederlo. Possiamo immaginare che la realtà virtuale riuscirà a coprire altri sensi, oltre alla vista e all’udito. Potranno per esempio essere messi a punto dei guanti che permettono di sentire l’oggetto che tocchi durante un’esperienza in realtà virtuale (attualmente quando si tocca un oggetto si sente solo la vibrazione del joystick).

E poi si apre la strada a scenari infiniti, realtà aumentata, per esempio, che consiste nel combinare la realtà vera e quella virtuale, un po’ come succedeva qualche anno fa con il gioco dei Pokemon. Potrebbero esserci delle applicazioni utili, come l’uso di occhiali, mentre si guida, che mostrano sulla strada reale le indicazioni virtuali del navigatore.

Certo proiettandosi verso un futuro del genere qualcuno potrebbe pensare alla realtà virtuale come ad un mondo fittizio. Ma non mi troverebbe d’accordo: l’esperienza che facciamo del mondo, anche di quello reale, è qualcosa che avviene nel nostro cervello. Vediamo i colori, ma che fuori dal nostro cervello sono solo differenze di lunghezze d’onda della luce. Sentiamo nel nostro cervello i suoni, ma si tratta di onde di pressione. Quello che percepiamo è comunque un’esperienza personale, quindi il reale e il virtuale, forse, non sono così lontani come sembrano.

Il festival VRE – Virtual Reality Experience muoverà fra alcune importantissime location fisiche, come il MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo, Villa Maraini e l’Aula Magna Unitelma Sapienza a Roma, ma potrà essere seguito anche online con la piattaforma Veer e lo streaming sui canali social VRE (accesso gratuito previa prenotazione)

Credit immagine: Fiore Scotto

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