
La premessa
Gli scienziati britannici ricordano che le norme statunitensi che richiedono l’inclusione di entrambi i sessi negli studi clinici umani sono state introdotte 20 anni fa. Nel 2006, tuttavia, solo il 41% delle persone negli studi statunitensi era di sesso femminile; sicuramente un grande passo in avanti se si considera che nel 1970 il sesso femminile rappresentava appena il 9% della popolazione degli studi. Ma ancora troppo poco.
Lo studio
Il team di Karp ha quantificato la differenza tra topi maschi e femmine analizzando circa 230 caratteristiche fisiche relative a più di 50.000 modelli animali. I ricercatori hanno così scoperto che, nel gruppo di controllo, il sesso aveva un impatto sul 56,6% dei tratti quantitativi, come massa ossea, metabolismo e componenti del sangue, e del 9,9% dei tratti qualitativi, cioè se la forma del cranio, della pelliccia e delle zampe erano normali o anormali. E si è così evidenziato che nei topi mutanti, che avevano un gene spento per scopi sperimentali, il genere di appartenenza ha modificato l’effetto della mutazione nel 13,3% dei tratti qualitativi e fino al 17,7% di quelli quantitativi.
Fonte: Nat Commun 2017
Kate Kelland
(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)
