Ictus: tre biomarcatori predicono il rischio

ictus(Reuters Health) Secondo alcuni ricercatori statunitensi, nei pazienti con fibrillazione atriale (FA), lo studio congiunto di tre parameteri,  troponina I, frazione N- terminale del pro-peptide B natriuretico e D-dimero. migliora la prognosi di eventi cardiaci. Un punteggio multimarker – costituito da una combinazione di tre biomarcatori molto comuni e utilizzati nella pratica clinica – migliora notevolmente la capacità di predire il rischio di ictus, embolia sistemica o morte nei pazienti affetti da fibrillazione atriale, rispetto alla tradizionale stratificazione del rischio con il punteggio CHA2DS2-VASc.

Lo studio
Il team del dottor Christian T.Ruff del Brigham and Women Hospital e della Harvard Medical School di Boston, è giunto a questa conclusione dopo una sotto-analisi dei dati, pubblicati da JAMA Cardiology, su 4.880 pazienti con fibrillazione atriale che hanno partecipato a uno studio randomizzato su edoxaban contro warfarin (ENGAGE AF-TIMI 48) ed erano a rischio moderato-alto di ictus. Il rischio calcolato stratificando le concentrazioni crescenti dei tre biomarcatori è risultato 15 volte più alto del rischio ottenuto con il punteggio CHA2DS2-VASc. I ricercatori hanno sottolineato che ogni biomarcatore è un predittore prognostico migliore in combinazione. “I dati della nostra analisi – ha concluso Ruff – sono una riprova del concetto che i biomarcatori possono contribuire ad importanti informazioni riguardo il rischio e possono influenzare le scelte dei più importanti dei medici rispetto ai trattamenti da attuare per i pazienti confibrillazione atriale, ad esempio se il rischio di tromboembolia e morte di un paziente è sufficientemente alto da giustificare una terapia anticoagulante a tempo indeterminato il rischio associato di sanguinamento”. Anil Pandit, dell’Heart Institute DeBakey di Hays in Kansas, ha commentato che la combinazione dei tre biomarcatori sembra essere interessante e promettente ai fini di affinare ulteriormente il punteggio attuale, sebbene ci siano a suo avviso riserve sulla validità e applicabilità generale dei dati. Lo studio presenta dei limiti, come il fatto che i pazienti randomizzati erano molto malati, avevano un’età media di 71 anni e più della metà aveva presentato insufficienza cardiaca, il che poteva aver portato alla positività dei tre biomarcatori. In mancanza di un gruppo di confronto,  dubbi sussistono sul dato dell’aumento di mortalità che suggerisce, appunto, come i pazienti fossero a più alto rischio.

 Fonte: JAMA Cardiology 2016

David Douglas

(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

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