Epilessia. Prossimità, innovazione e ascolto le parole chiave per curare il paziente e non solo la malattia

Le Epilessie sono patologie neurologiche croniche caratterizzate da crisi improvvise e ricorrenti. Una crisi può causare la perdita di conoscenza, totale o parziale, per pochi secondi o minuti. Il rischio di morte improvvisa nelle persone con epilessia è 2-3 volte superiore a quello della popolazione generale, a volte la causa è solamente traumatica, come ad esempio nel caso di grave incidente durante una crisi.

Si tratta, peraltro, di una malattia altamente complessa, sia perché può coinvolgere ogni fascia di età, dai bambini agli anziani, sia perché esistono diversi profili di pazienti: quelli sensibili alla terapia farmacologica, i farmaco-resistenti, quelli candidabili alla chirurgia, quelli non cangiabili alla chirurgia e quelli sottoposti a intervento chirurgico. Il 30% dei pazienti è farmaco resistenti. Insomma, più che di epilessia, per clinici e pazienti, bisognerebbe parlare di epilessie.

Inoltre, per chi vive con l’epilessia (in Italia circa 500 mila persone, con un’incidenza stimata fino a 61 nuovi casi su 100 mila abitanti, ovvero 36 mila nuove diagnosi all’anno) l’impatto della malattia va ben oltre la salute; investe la sfera sociale, privata, lavorativa, intima. L’imprevedibilità delle crisi, la paura, l’ansia, la vergogna e lo stigma rendono i pazienti epilettici fragili anche dal punto di vista psicologico. Per questo l’assistenza alle persone con epilessia deve mirare non solo a curare la malattia, ma a prendersi cura della persona, cercando di fornire risposte a tutte le problematiche che quotidianamente affrontano i pazienti.

Oggi è ormai ampiamente riconosciuto il fatto che un contributo rilevante, per migliorare la qualità e l’efficienza dei processi di cura, può esser fornito direttamente dagli assistiti. Il coinvolgimento dei pazienti nella riprogettazione è fondamentale per misurare più accuratamente i loro bisogni e quindi definire strategie di innovazione più coerenti con le loro reali esigenze.

Il National Summit, promosso da SICS in collaborazione con Quotidiano Sanità, è stato promosso proprio per parlare di questo. Per analizzare il percorso clinico-organizzativo della presa in carico del paziente con epilessia – prendendo le mosse anche dallo studio “Il valore dell’opinione delle persone con Epilessia per migliorare la qualità delle cure”, condotto dai ricercatori del CERISMAS (Centro di Ricerche e Studi in Management Sanitario) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con il supporto di UCB Pharma – e provare a portarne alla luce valori e criticità, per fornire indicazioni sulle aree di potenziale miglioramento.

A presentare i dati dello studio, condotto dal Cerimas tra 500 persone con epilessia in 6 centri di riferimento, è stato Stefano Villa, Responsabile Area Operations Management Cerismas.

“Il 41% degli assistiti – ha spiegato – ha dichiarato di avere sperimentato una presa in carico completamente integrata”. Come immaginabile, tuttavia, la gravità della forma di epilessia di cui si soffre influisce fortemente sul grado di soddisfazione generale dei pazienti: “Chi non ha crisi è più frequentemente soddisfatto, chi ha crisi annuali ha una di soddisfazione appena minore e tale quota va diminuendo all’aumentare della frequenza delle crisi, fino alla quota minima di assistiti soddisfatti tra chi ha crisi quotidiane”. Allo stesso modo, i pazienti farmaco-sensibili o sottoposti a chirurgia hanno quote di soddisfazione maggiori rispetto a pazienti farmaco-resistenti o in fase diagnostica ancora incerta.

Il ruolo dell’epilettologo resta predominante. E’ lui anche il punto di riferimento per il reperimento di informazioni per la gestione dei problemi quotidiani legati alle epilessie. “Al secondo posto come fonte di informazione c’è internet, che viene anche prima del Medico di Medicina Generale, che comunque vie-ne visto, per motivi specificatamente legati all’Epilessia, mediamente, cinque volte in un anno”. Una frequenza davvero non trascurabile anche se, secondo Villa, resta prioritario un rafforzamento del ruolo del medico sul territorio. Per Villa, tuttavia, “occorre capire in che modo vanno portate le competenze specialistiche del centro sul territorio”, ha precisato il responsabile Area Area Operations Management Cerismas. “Occorre una riflessone sulle figure professionali necessarie alla presa in carico sul territorio del paziente epilettico, ma avendo ben chiaro come, dove e quando è necessario il loro intervento. Non si può parlare di approccio multidisciplinare e multiprofessionale senza una discussione seria su questi dettagli”, ha detto Villa.

Dallo studio inoltre, secondo Antonella Cifalinò, vicedirettore Cerismas, emergono quattro aspetti centrali: “La necessità di un approccio pro attivo e integrato per la gestione delle cronicità, tra cui l’epilessia”. Poi, “l’importanza di focalizzarsi sul percorso di presa in carico nel suo complesso, e non sulle singole fasi, perché solo da una visione unitaria può nascere l’integrazione”.

E ancora: “Prossimità, che non è soltanto vicinanza dal punto di vista fisico, ma capacità di avvicinarsi alle esigenze individuali e specifiche del paziente. Questo significa ascolto, ma anche un ruolo attivo del paziente nel processo di comunicazione”. Poi, certamente, vicinanza fisica dei servizi, quindi “soluzioni organizzative e tecnologicamente innovative per servizi più a portata dei pazienti”. Infine, per Cifalinò sarà necessario “ridisegnare gli interi processi, immaginare nuovi profili di ruolo e competenze per i professionisti – non tanto da punto di vista clinico quanto assistenziale e logistico organizzativo – e prevedere risorse dedicate”.

A raccontare l’epilessia, con uno sguardo anche a quanto accade in Europa, è poi stata Francesca Sofia, mamma di una bambina con epilessia farmaco-resistente e presidente IBE (International Bureau of Epilepsy). “Io – ha esordito – credo di essere molto fortunata a vivere in Italia perché, pur nella drammaticità della malattia, possiamo contare su centri di riferimento eccellenti”. Il merito che, secondo Sofia, va attribuito soprattutto ai medici, “che con il loro impegno hanno reso possibile la nascita e la crescita di queste strutture, e che insieme alle società scientifiche hanno creato quel sistema infrastrutturale e di scambio di conoscenze. Questo ha consentito di raggiungere livelli assistenziali importanti, pur in una situazione generale di ristrettezze economiche e in una realtà politico-sanitaria che poco ha fatto per sostenere questi Centri”.

Per Sofia la capacità delle comunità di pazienti di influire sull’organizzazione dei percorsi di cura e sulle decisioni di salute pubblica è tuttavia, in Europa, “molto variabile”. Dipende “da una parte dallo stigma sociale e dal fatto che gli stessi pazienti, per decenni, hanno preferito nascondersi”. Ma anche “dal fatto che le comunità di pazienti non sempre sono preparate a sostenere il confronto con i decisori politici e i clinici”. La presidente Ibe ha citato uno studio del 2017, che ha mostrato come anche i genitori di pazienti con epilessia avessero una limitata conoscenza della malattia. “Da un altro studio – ha riferito ancora – è risultato che il cittadino medio ha difficoltà a comprendere le pagine di internet in cui si parla di epilessia, ma il sistema non può funzionare se i pazienti non sono messi nelle condizioni di comprendere il loro status e di esprimere le proprie istanze”. Per questo Sofia ha parlato di “alfabetizzazione sanitaria” dei pazienti ma anche dei cittadini nei confronti di questa patologia che ancora presenta elementi fortemente stigmatizzanti nell’immaginario collettivo.

Per la presidente dell’Ibe l’epilessia è comunque di fronte a una svolta storica, grazie al “Piano di intervento globale che l’Oms sta per approvare e che dovrà essere realizzato nei prossimi 10 anni”. L’intervento dell’Oms è, secondo Sofia, il segnale che a livello mondiale è stata compresa l’emergenza di un intervento forte sull’epilessia. “Non si può ignorare che al mondo esistono oggi 50milioni di persone con una diagnosi di epilessia, né che si stiamo ci siano 30 milioni di persone senza cure adeguate”.

Per la presidente Ibe, l’Italia potrà essere uno dei paesi in grado di raggiungere più in fretta gli obiettivi del Piano, “ottenendo a livello globale il riconoscimento di quanto è già stato fatto, ma continuando a migliorare per rendere l’assistenza all’epilessia un fiore all’occhiello del paese”.

Sofia ha inoltre voluto sottolineare i benefici che l’innovazione tecnologica può portare alla gestione dell’epilessia laddove riuscirà a introdurre sistemi di monitoraggio dell’attività cerebrale e di predizione delle crisi: “Queste innovazioni avranno un ruolo deflagrante e potrebbero cambiare davvero l’esistenza dei pazienti, facendoci uscire da quella imprevedibilità che oggi condiziona così pesantemente la vita dei malati e dei loro famigliari”.

Da Fabiola Bologna, medico neurologo e segretario della XII Commissione Affari Sociali della Camera, l’impegno a portare all’attenzione della politica la necessità di “implementare, riorganizzare e rimpolpare di personale i Centri di riferimento per l’epilessia”. Per la deputata di Coraggio Italia occorre anche fare di più per “fermare il turismo sanitario, che crea costi e disagi ai pazienti e alle famiglie, ma ha un forte impatto anche sulle Regioni dove si crea mobilità passiva”.

Per Bologna, il Pnrr sarà una grande occasione per rafforzare l’assistenza dal punto di vista territoriale e tecnologico. Ma sarà importante che in ogni processo di riorganizzazione venga coinvolto anche il paziente: “Negli ultimi 3 anni, le associazioni sono stati presenti in ogni in ogni tavolo ministeriale. Questa è stata una conquista per i pazienti, ma anche per la scienza, perché solo dialogando e ascoltando i pazienti è possibile orientare le priorità e rendere i pazienti responsabili del processo di cura”. Il paziente “esperto”, per la deputata, ha anche un forte ruolo di “divulgazione e sensibilizzazione sulla malattia a livello di società”. Un approccio che “può anche contribuire a creare una rinnovata fiducia tra sistema e cittadini”.

Giuseppe Didato, Dirigente medico U.O. Epilettologia Clinica e Sperimentale IRCCS Fondazione Besta di Milano, ha quindi evidenziato l’importanza di un percorso di assistenza al malato epilettico che tenga conto della presenza di comorbilità: “Almeno 25% delle persone con epilessia soffrono di altre patologie”, ha rilevato. Da qui l’importanza di équipe multidiscipinari: “Medici, ma anche psicologici, fisioterapisti e amministrativi, per aiutare il paziente in tutte le sue problematiche di natura burocratica e logistica”. Insomma, per Didato è ora di dire basta al neurologo come unico riferimento: “Va creato un sistema”.

Edoardo Ferlazzo, professore associato in Neurologia del Centro Regionale Epilessie, Azienda Ospedaliera BMM di Reggio Calabria, ha portato quindi l’esperienza della sua Regione dove “esistono due centri in grado di garantire ai pazienti con epilessia l’assistenza completa, che include quella psicologica e psichiatrica”. Tuttavia “persistono in Calabria gravi carenze, a cominciare dalla carenza di strutture e posti letto di neuropsichiatria infantile. Manca inoltre un Pdta per l’epilessia, che è invece fondamentale per proseguire il percorso iniziato con la diagnosi effettuata nei centri di riferimento”.

Insomma, le cose da fare sono tante. E vanno fatte, ha ribadito Leonilda Bilo, Responsabile Centro Epilessia – U.O.C.  Clinica Neurologica AOU Federico II di Napoli, “con l’ascolto e il contributo dei pazienti”. In merito alla soddisfazione dei pazienti rilevata dallo studio del Cerimas, Bilo ha voluto sottolineare come, d’altra parte, “i Centri per epilessia in grado di garantire una presa in carico integrata del paziente siano pochi. La realtà, quindi, è che molti pazienti vivono una situazione diversa da quella registrata nello studio. Per questo è essenziale potenziale la sanità territoriale rilanciare, anzitutto, la figura dei neurologi e dei neuropsichiatri infantili delle Asl”.

Sempre tenendo conto, ha evidenziato Oriano Mecarelli, past president LICE, che “il benessere delle persone con epilessia va oltre il controllo delle crisi”. Per questo, secondo Mecarelli, anche nel processo di prescrizione della terapia farmacologica è importante un confronto basato sull’ascolto e la fiducia tra pazienti e specialisti: “I farmaci che funzionano ma hanno un impatto devastante sulla qualità della vita, non sono necessariamente la scelta giusta. I pazienti vanno curati tenendo conto della persona nel suo complesso. Degli scenari, dell’età. Perché l’epilessia è una malattia che crea forti problemi a scuola, con un aggravio psicologico fortissimo durante l’adolescenza”.

Dello stesso avviso Flavio Villani, Direttore U.O. Neurofisiopatologia Ospedale Policlinico IRCCS San Martino (GE): “Dobbiamo controllare le crisi ma anche tutelare la qualità della vita. Per questo va posta molta attenzione agli eventuali effetti collaterali delle terapie”. Villani ha, in questo ambito, rivolto la sua attenzione ai pazienti farmaco resistenti, che vanno aiutati “nel luogo giusto, che in questo caso è il Centro per l’epilessia”. Il centro pilota della gestione della persona con epilessia, per Villani, “deve rimanere in ogni caso il Centro” e la figura di riferimento del “‘epittologo”.

Al National Summit anche il saluto di Federico Chinni, AD di UCB, azienda che ha sostenuto la ricerca Cerismas e il Summit. “Abbiamo l’ambizione di abbattere le barriere di accesso alle cure e di raggiungere nuovi traguardi nelle terapie. In questo processo, riteniamo fondamentale l’alleanza con la comunità scientifica e i pazienti. Solo attraverso loro coinvolgimento attivo è possibile comprendere i bisogni e quindi orientare al meglio la ricerca clinica”.

di Lucia Conti

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