Ebola: risposta B-cellulare umana si evolve negli anni successivi all’infezione

La risposta B-cellulare umana al virus Ebola si evolve significativamente durante i tre anni successivi all’infezione. Secondo Carl Davis della Emory University, autore di uno studio dettagliato sui sopravvissuti del focolaio africano del 2014, la creazione di risposte anticorpali durevoli è centrale nello sviluppo dei vaccini, e quindi probabilmente l’infezione da Ebola ha qualcosa da insegnarci.

Questa infezione porta ad un’estensiva attivazione delle cellule B e Y. E la solida risposta B-cellulare successivamente porta alla generazione di anticorpi protettivi ad elevata potenza. Non è chiaro il ruolo che questi anticorpi svolgono nel controllo iniziale dell’infezione ed il modo in cui essi cambiano nel tempo.

Nel presente studio, pubblicato su Cell online, sono state riscontrate analogie fra i diversi pazienti in cui gli anticorpi monoclonali  hanno creato una risposta anticorpale: di norma le risposte B-cellulari sono molto diversificate, e ciascun anticorpo è praticamente unico, ma gli anticorpi contro alcune regioni della glicoproteina dell’Ebola derivavano da eventi di ricombinazione molto simili nel corso dello sviluppo delle cellule B, e si sono evoluti lungo percorsi simili.

Dato che questi anticorpi proteggono gli animali dall’infezione da virus Ebola, probabilmente si tratta anche del tipo di anticorpi che si desidererebbe creare tramite un vaccino. Gli anticorpi nei pazienti hanno continuato ad evolversi e migliorare anche a distanza di un anno dall’eliminazione del virus dall’organismo.

Ciò si giustifica soltanto se il sistema immunitario è ancora esposto al virus. Per quanto sia noto che il virus Ebola continui a persistere in siti immuni privilegiati dopo il periodo dell’infezione acuta, lo studio evidenzia il fatto che gli antigeni virali continuano a stimolare il sistema immunitario. I pazienti hanno iniziato a produrre IgG4 contro il virus a distanza di 1-2 anni.

Questa classe di anticorpi si osserva in alcune patologie autoimmuni e nei casi di esposizione cronica ad un antigene, e quindi l’inizio della loro produzione potrebbe rappresentare un tentativo di limitare il livello di infiammazione da parte del sistema immunitario.

I dati suggeriscono che le sottoclassi di IgG potrebbero portare ad alcuni interessanti studi di monitoraggio sui sopravvissuti all’Ebola. Ad esempio un paziente ha sviluppato uveite, e questo stesso paziente presentava una persistenza di IgG3 che invece negli altri tendevano a scomparire rapidamente.

Sarebbe relativamente diretto investigare le classi di IgG nei sopravvissuti all’Ebola e controllare se alcuni profili anticorpali predicano una maggiore probabilità di complicazioni dopo l’infezione. Ciò potrebbe essere utile per selezionare i pazienti da monitorare più strettamente. (Cell online 2019, pubblicato il 16/5 https://doi.org/10.1016/j.cell.2019.04.036)

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