Da Tc a risonanze: in Italia 58mila strumenti diagnostici obsoleti

Decisamente troppo vecchie. Dalla risonanza magnetica alla PET, dalla TAC agli angiografi e ancora mammografi, ventilatori per anestesia e terapia intensiva, sono 58mila le apparecchiature di diagnostica per immagini e di elettromedicina obsolete, che superano abbondantemente la media degli altri paesi europei con un incremento di quelle più vecchie di 10 anni e una diminuzione delle tecnologie con meno di cinque anni.

Una situazione preoccupante
Se Francia, Danimarca e Svezia registrano tra il 60% e il 70% di apparecchiature con età fino a cinque anni, l’Italia possiede, ad esempio, solo il 30% di angiografi sotto questa soglia di età. Destano molta preoccupazione nel nostro Paese il 74% dei mammografi convenzionali con più di 10 anni di vita, il 60% di apparecchiature mobili convenzionali per le radiografie, il 50% dei ventilatori di terapia intensiva e il 77% dei sistemi radiografici fissi convenzionali. Questi sono alcuni dei dati che emergono dal nuovo Rapporto sullo stato di obsolescenza del parco istallato di diagnostica per immagini e da quello sull’elettromedicina in Italia, entrambi curati dal Centro studi di Assobiomedica e presentati oggi nell’ambito della IX Conferenza nazionale dei dispositivi medici.

“Su 100.000 apparecchiature censite – ha dichiarato Marco Campione, Presidente dell’Associazione Elettromedicali di Assobiomedica – circa il 60% sono obsolete, avendo superato notevolmente la soglia di adeguatezza tecnologica con costi di gestione enormi che potrebbero essere abbattuti, sostituendole gradualmente con tecnologie di ultima generazione. Si tratta di apparecchiature meno sicure, con qualità clinica diagnostico-terapeutica al limite dell’appropriatezza. Abbiamo troppe apparecchiature, troppo vecchie e troppo poco usate. indifferibile un’azione urgente d’investimento su tecnologie innovative a fronte di un disinvestimento di quelle obsolete, che sono ben 58.000 in Italia”.

“Lo si può fare con tariffe modulate – ha concluso Campione – come nel caso di successo della Francia che da anni prevede meccanismi di rimborso variabili delle prestazioni, che penalizzano pesantemente e progressivamente l’utilizzo di apparecchiature oltre le soglie di vetustà stabilite, incentivando l’adozione dell’innovazione tecnologica”. Ma anche con leve fiscali, come avviene nel Regno Unito, dove si applica un’aliquota IVA agevolata. Le tecnologie sanitarie possono anche generare inoltre rischi ed errori, se soggette a scarsa manutenzione o non correttamente utilizzate. L’istituto americano ECRI (Emergency Care Research Institute), creato negli anni ’60 a Philadelphia, dedica la sua azione internazionale proprio ad analizzare i rischi legati all’uso delle tecnologie sanitarie, ponendole in stretta relazione con la sicurezza dei pazienti.

Per l’Italia il report ECRI è pubblicato dall’Associazione Italiana Ingegneri Clinici, con la “Top 10 dei rischi legati alle tecnologie sanitarie per il 2017”, che Lorenzo Leogrande (presidente Aiic) ha descritto come “uno strumento di uso immediato e di indirizzo per direzioni generali e sanitarie, management ospedaliero, personale sanitario, aziende fornitrici di strumenti e servizi. Il tutto al fine di alzare l’asticella dell’attenzione di sistema verso la tematica della sicurezza”. Fra i dieci “rischi tecnologici” del 2017 identificati da ECRI c’è la pulizia inadeguata di strumenti riutilizzabili complessi che può causare infezioni, le carenze nella gestione dei software che mettono a rischio i pazienti, ma anche l’esposizione professionale a radiazioni nelle sale operatorie.

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